un uomo

Cesare a Rebibbia

«Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto “Cesare deve morire” pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare».

 Così Vittorio Taviani dopo il grande trionfo a Berlino, con l’orso d’oro nella 62/ma edizione del Festival, per “Cesare deve morire”. Il film, ambientato nel carcere di Rebibbia, nella sezione ‘Fine pena maì?, racconta la tragedia di Shakespeare con le voci dei carcerati, ognuno nel proprio dialetto. Si veda anche l’articolo su “Vita””di Maurizio Regosa, con una breve ma significativa intervista a Erri De Luca, tutor dei detenuti scrittori, del 24 febbraio. Anche dal fratello Paolo, tutto l’omaggio è per i carcerati:

«Voglio fare alcuni dei loro nomi: a loro infatti va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci sono nella solitudine delle loro celle. E quindi dico grazie a Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Francesco e Fabione». «Intanto grazie. È difficile parlare in questi casi ma sono davvero contento, perchè la giuria ha deciso in armonia e non capita sempre che questo accada» ha detto ancora Vittorio Taviani, «Grazie alle parole sublimi di Shakespeare, questi detenuti sono tornati alla vita e a loro va il nostro saluto».

Ho la fortuna di seguire, come Presidente di Corso di Laurea in Scienze del Turismo dell’Università di Tor Vergata (con Elena e Irene)l’avventura degli studi universitari di alcuni degli attori del film, tra cui due dei protagonisti, Giovanni Arcuri e Cosimo Rega, anche scrittore non banale e profondo. Con loro (una decina di iscritti, altrettanti e forse di più se ne prevedono), ho potuto lavorare in tre sedute di laboratorio, di cui riferirò in prossimi post. Un caro abbraccio e complimenti!!!

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