Erri De Luca, Fabio Pierangeli, A piedi, in bicicletta

A piedi con Erri De Luca

“E’ bello entrare a piedi in una città sconosciuta, andare con la misura dei passi tra gli abitanti, sotto le loro case. Sturare il naso per fiutare il luogo, intendere le voci di una lingua straniera, bere a una fontana l’acqua che è diversa in ogni posto della terra. Sulla pelle si posa la miscela di vapori, cotture, sudori, panni stesi. E’ giusto entrare a piedi in una città sconosciuta”.

Esce per l’editore Drago di Bagheria il primo volume della preziosa collana, Incontri all’università, parte di un ricco patrimonio fiorito in vent’anni di docenza all’Università di Roma, Tor Vergata.

Dai primissimi anni Novanta, abbiamo ospitato nella nostra università Tor Vergata i migliori scrittori e poeti contemporanei che hanno sempre proficuamente dialogato con i nostri studenti, lasciando, in molti casi, delle loro pagine, dei loro racconti, o dando il permesso di registrare gli incontri. Si parte con Erri De Luca. Ai suoi racconti (a piedi e scalando) ho aggiunto i miei, in bicicletta: Erri De Luca, Fabio Pierangeli, A piedi, in bicicletta, dunque, titola il volume, impreziosito dalle straordinarie pitture di Piero Pizzi Cannella.

Non è bello farlo passando per un tunnel, scavato per non farsi tirare addosso dall’artiglieria. Lo ricordo lungo circa un chilometro, ci si stava curvi, in fila indiana a lume di una lampada frontale. Si entrava in Sarajevo come in una miniera, negli anni del suo assedio, il più lungo del Novecento.

I volontari venuti dall’Italia, dopo le curve del monte Igman, caricavano in spalla i sacchi di provviste e medicine. Facevano i contrabbandieri di pace. Dove la guerra è legge, le mosse di pace sono clandestine, da banditi.

E’ bello uscire all’aperto da una galleria, una notte d’inverno, alzare gli occhi e trovare illuminato l’arcipelago delle stelle. Non era bello spuntare dentro Sarajevo, buia per il taglio della corrente elettrica. Le stelle erano le stesse, ma sbucarci sotto era ficcarsi in una trappola. Izet Sarajlic, poeta della città, diceva: «Benvenuti nel più grande carcere di Europa». Le stelle sopra Sarajevo erano cani da guardia.

Oggi penso che il viaggio è una parola nobile e si riferisce solo a chi lo fa a piedi. I nostri biglietti andata/ritorno verso località più o meno remote sono da chiamarsi spostamenti. Viaggio è cammino senza biglietteria e data di ritorno. Viaggiano i migratori che traversano a piedi Africa e Asia, per togliersi il bagaglio dalle spalle in faccia al Mediterraneo. Viaggia il pellegrino che va a Santiago, a La Mecca. Viaggio era la salita annuale verso Gerusalemme per la pasqua ebraica, pronunciando lungo il pendìo, i 15 salmi detti delle salite. Gesù/Ièshu si spostava a piedi. Salì sopra la nobile cavalcatura dell’asina solo per consegnarsi all’ultima stazione.

La sua solitudine dentro Gerusalemme gremita per la Pasqua, fu completa: nessuno dei suoi si denunciò per stargli accanto. Nessuno fece il passo avanti che interrompe il silenzio dei ranghi. Nel minimo cammino formato da quel singolo passo in avanti, stava lo sbaraglio di essergli fedele. Il passato mancato in avanti di uno di loro, fu il passo indietro di tutti. Il passo di Giuda fu invece di lato, staccandosi dalla lealtà

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