Il napalm, il fotografo e la bambina

Il secolo di Ceronetti

“Non so se lei è spaventato: io lo sono stato appena ho visto le fotografie della Terra scattate dalla Luna. Non c’è bisogno della bomba atomica: lo sdradicamento dell’uomo è già compiuto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui oggi vive l’uomo. Ormai solo un Dio ci può salvare. Ci resta, come unica possibilità, quella di preparare, pensando e poetando, una disponibilità all’apparire del Dio o alla sua assenza, a cospetto del Dio assente, tramontiamo. Dio noi non possiamo avvicinarlo col pensiero. Siamo in grado tutt’al più di risvegliare la possibilità dell’attesa”

Si tratta di un brano di un’ intervista a Martin Heidegger, citata nel bel libro di Guido Ceronetti, Ti saluto secolo crudele, Einaudi, 2011, il personale compendio di situazione e citazioni dell’estroso drammaturgo, poeta, moralista che racchiudono il XX secolo. Il fuoco che divampa e brucia sembra essere un motivo portante: dai roghi delle guerre mondiali alle Torri gemelle, alla violenza contro i Buddha e i monaci cristiani arsi vivi alla fiammelle della speranza, tenute in piedi da uno sconfinato, e sconfitto, desiderio di vita. Tra tutti questi brevi capitoletti, spicca, oltre quello dell’attesa di Dio di Heidegger (ma come più commovente, anche poeticamente, la gratuità di un incontro in questi post più volte descritto, senza la pompa magna di un Evento al quale allude Ceronetti fin dall’inizio del libro) la figura “martire”, della bellissima Marilyn. Senza alcun dubbio, Ceronetti, in una commossa apologia della ingenuità della ragazza (che si crede furba) accusa Bob Kennedy, a sua volta punito con la morte per attentato. Simbolo martire di segno opposto la bambina immortalata dalla splendida foto di Nick Ut mentre fugge disperata, ridotta ad una torcia umana, dalle bombe al napalm degli americani. E’ l8 giugno del 1972, nel tempio buddista di Tran Bang, Vietman del Sud. Come in molti di questi capitoletti, Ceronetti immagina la scena, ne dà un valore drammaturgico potente, offre la parola direttamente ai protagonisti, la bimba, la madre e il fotografo “Svenne ai miei piedi. Era in uno stato spaventoso: schiena, braccia, collo sembravano carboni. I medici, che pure avevano visto di tutto, inorridirono. Ma la piccola era una bambina incredibilmente forte e riuscì a cavarsela”. Così il napalm (proibito negli Stati Uniti nel 1994) diventa il simbolo della strage e la bambina quello della speranza. La parola a lei, Kim Phuc:

Oggi vivo qui a Toronto, con mio marito e un figlio. Il suo nome è Huan; speranza. Sono grata al fotografo, lo zio Ut, perchè insieme abbiamo contribuito a far finire quella orribile guerra, Mi restano delle menomazioni permanenti alla schiena e a un braccio. Con il capitano John Plummer, che ordinò l’attacco su Tran Bang – oggi diventato il reverendo Plummer, padre metodista – ci siamo abbracciati l’11 novembre del 1996 durante il Veterans day; siamo diventati amici

No Comments

Leave a Reply

Your email is never shared.Required fields are marked *