In viaggio con Ungaretti

Lido Paradiso, Pisciotta (Parco naturale del Cilento)

Lido Paradiso, Marina di Pisciotta: la presenza del mare tiene l’uomo in un abbraccio di silenzio e di grandezza. “Non ho mai viste acque di pari trasparenza .. vediamo la sabbia del letto come pettinata soavemente, e i nastri delle alghe trasformare in serpenti agitati la bella capigliatura … Entriamo nella grotta e, quando ci siamo un po’ inoltrati, il buio è corroso da un chiarore sotto vetro smerigliato: è l’acqua illuminata di sotto, e rischiara come una luna”.

Lido Paradiso, (visitate il sito http://www.lidoparadiso.it/ ) lunga curvatura tra mare e cielo, stretto da due promontori, Palinuro “una pietra enorme, resa aerea dalla distanza” e Pisciotta, diversamente elevati sulle acque, di una trasparenza commovente. Piccola striscia di terra davanti al mare per un villaggio turistico che ha saputo costruire tutto il necessario per le vacanze senza “infastidire” ma valorizzando la natura del favoloso Parco del Cilento, facendone il punto di forza, nel silenzio e nell’abbraccio. Con “l’animazione”, naturalmente, ma tutti allegri e bravi, nonchè discreti, con danze e spettacoli teatrali di buon livello e sicuramente adatti allo svago. Lo consiglio vivamente: poco più di un’ora da Salerno, quattro da Roma, raggiungibile in tre ore dalla capitale con la ferrovia, cinque minuti dal Lido, stazione Marina di Pisciotta.  Sarete nei luoghi mitici già scoperti dai greci e dai latini, cantati da Virgilio nel V e VI dell’Eneide, quando il mitico guerriero fuggito da Troia piange il suo nocchiero, appunto Palinuro, “tradito” dal Dio del sonno sotto quel promontorio e poi ucciso dagli abitanti di quei luoghi perché, coperto d’alghe, era sembrato un mostro. Il pio Enea, ritrovatolo nell’Ade, si fa interprete per lui di una degna sepoltura, della eco imperituro del nome di quei luoghi (in realtà, ben prima del poeta i Greci avevano chiamato quel luogo Palinuro, per le caratteristiche rocce bianche).

Ad Elea, Velia per i romani, nasce la filosofia: “O tu Senofane rapsodo, che qui approdavi dalla Jonia invasa, della tua opera non restano frammenti più vasti di queste schegge di terracotte del primo e del quarto secolo che a piene mani posso raccattare salendo”.

Così un viaggiatore di eccezione in quei luoghi, Giuseppe Ungaretti, nel 1932, scrivendo un reportage dal Mezzogiorno per la Gazzetta del Popolo. Così il grande pensiero greco nasce dai fuggitivi, e ora è rappresentato da quelle rovine, bellissime ma piccole, in confronto alla vicina meraviglia di Paestum (non mancate di visitarla, anche per vedere il celeberrimo “tuffatore”).  “Elea, questa città di fuggiaschi, dove anche il mondo aveva finito col diventare un’assenza: questa è Elea, oh, città assente”. Il commovente strazio delle rovine, rapisce Ungaretti, qui come a Paestum, il pensiero della fragilità umana, nonostante la grandezza di Parmenide, per cui lo spazio e il tempo diventano illusione:

“E di te, città disperata, e di voi, primi occhi aperti, o Eleati, non è rimasto altro, se non un po’ di polvere?”.

Eppure, come accade ripensandoci oggi, tra le meraviglie del Lido Paradiso, poco distante da Velia-Elea, le immersioni in un mare incontaminato di pesce, la visita alle grotte di Palinuro, ci si sorprende di avere sulle labbra le stesse parole di Ungaretti: “La vostra forma mortale era bene un’illusione, come tu dicevi, Parmenide, ma la vostra voce io la sento in questo silenzio: ciò che era materia immortale in voi, è immortale anche in questo corpo caduco”.

La natura, qui a Lido Paradiso intensissima (e si può arrivare a piedi a Marina di Pisciotta, volendo in bicicletta, con un poco di allenamento, a Palinuro, a Camerota, guardare dall’alto del faro l’arco naturale, la roccia spartivento, le guglie illuminate dal sole), la sua luce e le sue ombre, “popolano d’una misteriosa e coraggiosa battaglia la terra”.

Ecco come Ungaretti, lasciando Velia e avanzando verso Palinuro, descrive quei luoghi, visitati il piena primavera, il 5 maggio del 1932:

Il Mastio di Velia ogni tanto torna ad osservarci, e sta a capo di quelle torri mozze di vedetta fatte alzare da Carlo V e che vanno fino a Reggio…

Quando Velia scompare, l’arco che si apre va fino al Promontorio di Pisciotta. Incominciano ad arginare il mare rocce rugginose. La prima, corrugata come un tartufo di mare inverosimile ha quella violenza che fa più paura: è violenta fino alla aridità e fino alla preziosità. Passiamo fra questa strana mole e uno scoglio che le hanno strappato di dosso. Subito dopo vediamo un monte mosso da una strada come una saetta. Una violenza simile – in sul nascere nel Barocco, e Michelangelo non era ancora lontano nel passato – l’ho vista solo in Roma, in due dipinti del Caravaggio: il San Pietro e il San Paolo di Santa Maria del Popolo. Su quel monte c’è un ciuffo d’ulivi – ulivi, sempre ulivi! – e non ho finito d’accorgermene che già s’apre una gola verso la vallata, mostrando a perdita d’occhio costoni, mammelloni, forre, definiti in volumi dal semplice contrasto dei verdi, e da un lentissimo passaggio di nubi plumbee.

In quel mentre, mentre passiamo di fianco a Pisciotta, ci appare, penetrato nel mare, Palinuro, come uno squalo smisurato, cariato d’oro.

Pisciotta si svolge in tre fasce su una parete: la più alta è il vecchio paese, di case gravi e brune e grandi arcate; in mezzo, sono ulivi sparsi come pecore a frotte; la terza a livello dell’acqua, la formano case nuove e leggere, i cui muri sembrano torniti dall’aria in peristili…

Di colpo il mare in un punto ha un forte fremito: è un branco d’anatre marzaiole che si rimettono in viaggio. Sono arrivate all’alba, e ora che principia l’imbrunire, volano via. Così fuggì quel Dio Sonno sceso a tradire Palinuro mandandolo in malora col timone spezzato. E le onde, ora repentinamente infuriate, le muove forse il nuoto disperato del fedele nocchiero d’Enea?

Piccole grotte ci fanno ora compagnia. I cavalloni, penetrando in quegli occhi bui, disturbano le pietre, muovendo un rumore d’antiche ossa….

Non ho mai viste acque di pari trasparenza .. vediamo la sabbia del letto come pettinata soavemente, e i nastri delle alghe trasformare in serpenti agitati la bella capigliatura … Entriamo nella grotta e, quando ci siamo un po’ inoltrati, il buio è corroso da un chiarore sotto vetro smerigliato: è l’acqua illuminata di sotto, e rischiara come una luna, e sembra una buccia di celluloide turchina.

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