Per Don Giacomo, il ricordo di Antonio Baracchini

Guardarlo pregare, vi garantisco, era una cosa bellissima

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uello che deve rimanere sono le scintille devono essere acchiappate come le lucciole nelle mani di un bambino

Parole di Don Giussani, dal TG2 del dicembre 2004, che piacevano a don Giacomo. Il 19 settembre saranno cinque mesi dalla scomparsa terrena di Giacomo (“ora che don Giacomo è morto e le cose, i rapporti nati e cresciuti intorno a lui sembrano sfaldarsi… rimane vivo e vero soltanto ciò che don Giacomo ha vissuto e insegnato: ‘chi prega  si salva'”) una di queste scintille è la testimonianza di don Antonio Baracchini, che riporto integralmente:

Don Antonio Baracchini
CHI PREGA SI SALVA

IL MIO RICORDO GRATO AL SIGNORE DI DON GIACOMO TANTARDINI

Ero seminarista a Roma alle “Cappellette di San Luigi” e spesso mi è capitato di entrare in chiesa e di trovarvi don Giacomo in preghiera.
Guardarlo pregare, vi garantisco, era una cosa bellissima: il suo sguardo alto rivolto verso il Santissimo mentre declamava, inginocchiato, il breviario aperto tra le mani. Abbassava lo sguardo giusto il tempo per leggere le parole necessarie a sostenere la memoria.
Era rapito dalla presenza di Gesù, lo adorava stringendosi commosso ai piedi di Maria, sua Madre, che lo portava in braccio in una immagine posta sopra il Tabernacolo. Chiunque lo osservasse pregare si stupiva di partecipare a quel riconoscimento grato da cui sgorga la fede.
Diventargli amico per condividere la sua letizia era il mio desiderio e, quando una quindicenne gli chiese: “come si fa a diventare amici?” e lui rispose: “nella vita non ci sono amicizie eterne né inimicizie eterne, ma solo interessi eterni, quindi, vale più dire un’Ave Maria affinché nel cuore nasca un interesse vero, che darsi da fare per diventare amici di qualcuno”, cominciai a dire un’Ave Maria ogni giorno perché l’interesse che muoveva don Giacomo interessasse anche me.
Mi stupii, poi, di essergli divenuto amico e di trovarmi a condividere con lui tanti momenti sempre più gratuiti. Accadde che, lasciato il seminario ed andato a Tampa, in Florida, come vice parroco nella parrocchia di Saint Lawrence, fui sorpreso dalla sua visita.
Accompagnato da alcuni suoi amici romani, don Giacomo, passò due giorni con me e con dei miei amici americani.
In seguito, quando dovetti lasciare Tampa, gli chiesi di poter rimanere in parrocchia con lui a Tor Vergata. Di lui continuavo ad ammirare il suo amore per il Signore Gesù, per sua Madre Maria, per i Santi e per don Giussani.
Quell’amore volevo imparare perché in quello vedevo consistere tutto il cristianesimo.

Era un amore che trovava nella preghiera la sua sorgente ed il suo compimento e coinvolgeva sempre più persone con i loro bisogni, i loro interessi, le loro caratteristiche e abilità.Un amore che creava rapporti, lavoro e giudicava umilmente e con autorevolezza ogni cosa. Erano gli “ultimi” anni de Il Sabato, anni in cui vedevo nascere quegli editoriali che interrogavano e coinvolgevano la Chiesa intera, l’intero Paese.
Seguire don Giacomo non era poi così facile: non conosceva orari, era sempre pronto a partire, mai ‘accomodato’ o accomodante. Unica ragione per stargli vicino era quell’attrattiva che il suo volto irradiava e, il guardarlo pregare, svelava il Mistero dal quale sgorgava.
Quella gratuità che ci rese amici, lo condusse a Tampa a trovarmi, mi portò a Tor Vergata e, quando don Giacomo fu costretto a lasciare la sua parrocchia di santa Margherita Maria Alacoque, perché fu mandato in Spagna (esiliato a Salamanca), anche don Lorenzo Cappelletti ed io dovemmo lasciare la parrocchia con lui. Fu così che mi indicò la diocesi di Terni quale nuova residenza.
Il Vescovo, infatti, era il compianto Mons. Gualdrini. Lo conoscevano bene don Lorenzo, don Maurizio Ventura e don Franco Semenza, che erano stati suoi alunni al Capranica. Monsignor Gualdrini, infatti, un anno prima aveva accolto in seminario Giuseppe Creanza, vostro attuale parroco (don Pino), presentato da Lorenzo, Maurizio e Franco. Quella stessa gratuità ha portato don Giacomo a Configni, a Vacone e a Rocchette dove la sua preghiera, la sua devozione a Maria, i suoi amici sono divenuti sempre più cari e familiari anche a voi.
Quando ho lasciato le mie tre parrocchie Sabine per avvicinarmi a Genova, don Giacomo è rimasto a Rocchette perché don Pino mi ha succeduto nell’ufficio di parroco. Lasciando la Sabina volevo silenziosamente verificare quello che don Giacomo mi ha insegnato ad amare. Verificare, come dice don Giussani, il nostro amico comune, significa vedere se è vero, meglio, rendere vero.
In questi anni ho compreso che la preghiera salva la nostra esistenza dal non senso, unendola a Dio che in Gesù, attraverso Maria, si è fatto vicino, amico: si è donato e si dona a noi. In questi anni ho toccato con mano che Maria, la
Madre di Gesù, intercede realmente per noi perché siamo suoi figli amatissimi.
Ora che don Giacomo è morto e le cose, i rapporti nati e cresciuti intorno a lui sembrano sfaldarsi: Trenta giorni ha chiuso, tanti amici sono sempre più preoccupati di mantenere in vita “forme” e “riti” che con Giacomo generavano vita… rimane vivo e vero soltanto ciò che don Giacomo ha vissuto e insegnato: “chi prega  si salva” (aggiungo con Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) “chi non prega si danna”.
Per questo sono grato del mio ultimo incontro con don Giacomo all’ospedale Pio XI di Roma quando ho potuto vedere che il suo confidare nel Signore era appoggiarsi a Lui, affidarsi a Lui nel percorrere una strada che non avrebbe mai immaginato e che continuamente chiedeva che un miracolo cambiasse. Nel suo tormento era lieto e grato perché era come portato dall’amore per Gesù, per Maria e per i suoi  amici in Paradiso (i Santi) e come un bambino si affidava completamente a loro lasciandosi condurre.
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Nel suo tormento era lieto e grato perché era come portato dall’amore per Gesù,  per Maria e per i suoi amici in Paradiso (i Santi) e come un bambino si affidava  completamente a loro lasciandosi condurre.
Era grato per gli amici che in quei giorni lo servivano, tra i tanti mi ha commosso vederlo ringraziare don Pino che gli sistemava il vassoio della cena e gli puliva le mani quando questa era ormai terminata.  Mi ha commosso il suo bacio che  gratuitamente mi ha inviato quando lo stavo salutando e lui mi ha risposto  portando la sua mano alla bocca e lasciandola verso di me. È stato il suo addio e la sua benedizione.  Dopo quasi cinque anni dalla mia partenza dalle parrocchie  in Sabina sono stato certo che mi aveva benedetto e che aveva compreso la mia scelta.
Ho lasciato la Sabina e Terni domandando quell’interesse che mi spinse a scegliere  Giacomo come amico, e ora mi chiedeva, proprio quando mi ero ‘accasato’, di  vivere da adulto quel grido che salva e che fa crescere in noi e nel mondo l’interesse per Gesù e la vita buona che Egli ha portato e continua a promuovere  nel mondo.

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