La supplente di Giuseppe Manfridi

La voglia di vivere che strazia la poesia

«Ci pensate?… Tra miliardi di esseri umani comparsi sulla terra, in migliaia di posti, nell’enormità dello spazio, ora sta avvenendo un miracolo. Qualcuno saprebbe dirmi quale? […] Che io e voi siamo qui, l’uno di fronte agli altri. L’una, io… gli altri, voi. Questo il miracolo, ragazzi, questo il miracolo. Qui e ora. Hic et nunc. Now».


La supplente di Giuseppe Manfridi (in scena sabato 2 febbraio ore 18,00 e domenica 3 ore 21,00 al Teatro Colosseo di Roma)  rimarrà a futura memoria tra i brani più significativi della scena contemporanea per aver saputo, in poche righe, offrire nuda ed eterna l’anima baluginante del teatro. Il frullare delle ali, il fulmineo breve bagliore dell’inizio del testo, trova ispirazione in una sola, decisiva parola, tratta dall’incipit degli incipit, nel Riccardo III di Shakespeare riproposto da Al Pacino, “Now”: Qui e ora, irrepetibile accento della sorte umana, evento, incontro, marginale, meraviglioso, onda di improvviso contagio di emozioni non previste, tra miliardi di occasioni gestite dal miracolo del caos, nello spazio,-tempo -fessura di un’assenza. Il teatro nella vita, la vita nel teatro, per una eccentrica, tenerissima, supplente, Stella, che ha occhi intensi di blu oltremare di una strepitosa Silvia Brogi: a disposizione solo un’ora, il tempo stesso, reale e immaginario, della pièce, per incantare i finti scolari e i veri spettatori (ma forse, anche, viceversa) con tanto di cattedra, lavagna, qualche libro, l’immancabile, tiranno burocrate, registro di classe.
Ho un ricordo fervido, esaltante, della messa in scena de La supplente, al teatro dell’Orologio di Roma, nella stagione 2008. L’ho rivisto altre volte, sempre con commozione, e sono riuscito a portarlo, insieme al regista Claudio Boccaccini, in una vera aula della Università di Tor Vergata, con gli studenti stupiti e meravigliati di trovarsi dentro un evento di poesia e bruciante attualità. A riviverlo oggi, a distanza di cinque anni, nell’ambito della efficacissima e importante iniziativa Il teatro dell’Eccesso, il testo e la messa in scena mi appaiono sempre di più figurazione della aspra lotta, incarnata nella fragile insegnante-poetessa, tra la bellezza come frammento di eternità e istituzioni insensibili, grossolane, frutto di una cultura ridotta a stupidità (i giganti pirandelliani, insomma, con una Ilse, nonostante tutto, più consapevole, con in tasca le lucciole del mago Cotrone, uscita definitivamente allo scoperto, pronta al sacrificio “la voglia di vivere che strazia la poesia”).

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