Scuola, università, precariato. E’ possibile stupirsi?

Prof, a cosa serve la poesia? La supplente e una mail di Daniela Iuppa

Nello stesso atomo di immensità. Io e voi, dentro questa scatoletta, miracolosamente insieme. … Un miracolo o no?… – Vi vedo perplessi. Naturale, lo so da me: ogni giorno incontriamo persone mai viste prima e per le quali dovremmo ragionare allo stesso modo. Sicché, messa in questi termini, ogni giorno dovrebbe corrispondere a una selva di miracoli. Vero, verissimo, ma c’è un ma. Sapete quale? Che noi ce lo stiamo dicendo. Lo stiamo notando. E allora, dove sarà mai il miracolo? Nella cosa avvenuta, o nel fatto che ce ne siamo accorti?… O nel fatto che, in anni di supplenze, in anni e anni di supplenze, un’osservazione del genere io la faccia oggi con voi – qui, ora – now – per la prima volta?…

Per coincidenza forse non casuale, la strepitosa interpretazione di Silvia Brogi (mio figlio, undici anni, colpitissimo: è bravissima, perché non è famosa? ) de La supplente di Manfridi (vedi post precedente e le frasi qui sopra) si intreccia con questa bella mail di Daniela Iuppa dopo gli esami del 31 gennaio di Letteratura italiana a Tor Vergata. Educazione, scuola, bellezza: ce ne siamo accorti di chi abbiamo davanti? È ancora possibile un incontro serio, di reciproca crescita nella difficoltà di ogni giorno (soprattutto per gli insegnanti di scuola precari, supplenti o simili?).

La ragazza in questione nella mail, brava, non c’è dubbio, sollecitata da Daniela ammetteva di aver studiato per assolvere un compito a cui però non credeva affatto, magari per compiacere la famiglia. Alla domanda che cosa allora vorrebbe fare dopo, ha risposto (Daniela è rimasta basita!): la scrittrice (magari trash)

Ecco la mail di Daniela, compagna di strada all’università, amica dell’Associazione Testori (come ben sanno i lettori dei nostri blog), studiosa di rango, dottoranda in Italianistica, che saluto con affetto

Caro prof,
le scrivo di getto, perché le frasi di quella ragazza stamane (insieme a qualche altra impressione che ho avuto) mi risuonano nelle orecchie. Sicuramente dentro la tristezza per certi ragazzi che si accontentano di così poco, di sfogliare qualche pagina sperando di sfangarla o, al meglio, di studiare meccanicamente tutto alla perfezione, senza chiedersi le ragioni di nulla. E sicuramente, risuonano nella ferita di vedere non incidente la bellezza (della poesia, della letteratura, dell’arte). Oggi mi sono accorta che l’esame è un test per i ragazzi, ma anche per noi. Certamente per capire quanto siamo stati chiari a lezione, ma anche quanto, seppur minimamente, abbiamo lasciato trapelare la potenza dell’arte, l’urgenza della vita che essa risveglia, il suo enorme ruolo di scuotere dal torpore, di risvegliare questi cuori sempre più pigri, sempre più lontani dalla loro verità, sempre più vittime della nostra noncuranza e, quindi, sempre più facilmente adeguabili a tutto.
E non a caso, credo, oggi mi porto questa ferita, dopo che ieri in una seconda ho annunciato che avrei cominciato ben presto un’ora di poesia. Un ragazzetto di schianto mi ha chiesto “Prof, ma a che serve la poesia?”, nello smarrimento generale. La domanda è arrivata come un pugno, e mentre in me s’era creato quel silenzio così familiare, un altro, un po’ scherzando, gli fa: “io il canto d’Ulisse ancora me lo ricordo! Quando mi dipartì da Circe, che sottrasse me…” e via a recitarlo (l’avevo fatto imparare loro a novembre). Quasi m’è venuto da piangere. Poi l’ho fermato e ho detto solo “Bene. Presto, inizieremo l’ora di poesia e risponderemo alla domanda.”. Quella è LA domanda e oggi ho compreso che ben tristi stanno diventando i nostri tempi e che più grande si fa la nostra responsabilità, più grande il nostro spenderci per ricordare all’uomo l’uomo, con i mezzi e le passioni che ci sono state date. Insomma, tutta questa mail per dirle che oggi per me è stato l’ennesimo momento prezioso, perché la ferita iniziale m’ha permesso di accorgermi nella carne della missione che, bene o male, ci è affidata.

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