Finché nel quadro trovai la mia bellezza

Di tutte le ricchezze che ho visto

La bellezza e il suo enigma. Il bambino non sceglie la bellezza. Per lui tutto è rivelazione, bellezza continua e indistinta. Ricordai un giorno lontano, in cui mio padre mi portò a un museo. Ci fermammo a lungo davanti al gigantesco quadro di una battaglia. Io lo guardavo svogliato, ero affascinato da altre cose. La macchina fotografica, col nero muso sporgente di un turista giapponese. Una bambina dal volto un poco funereo che si infilava un ditino nel naso con molta classe. L’uniforme militaresca del custode.

Finche nel quadro trovai la mia bellezza.

In un angolo, nella parte destra in basso, la testa bionda di un soldato morto. Senza più elmo o armi […] Ne ammirai la verità, la precisione, immaginai il colpo che l’aveva abbattuto […] Tutto il quadro mi sembrò dipinto solo per quel particolare, perché io lo scoprissi.

Nelle mie poche poesie, scritte a penna, trovo sempre qualche verso che rende degno il grande quadro del mio progetto, la sua immodestia e la sua sincerità. Anche nelle poesie del Catena, che pure sono guerra e battaglia, cerco la bellezza di un istante che lo colse di sorpresa, indicandogli una via di salvezza.

Di tutte le ricchezze che io ho viste…

Ecco la scheda del libro targata Feltrinelli:

Di tutte le ricchezze narra di un anziano professore, un po’ strambo, ma alla fine così sensato rispetto alle follie dell’uomo.
Lui, che si chiama Martin, un nome che evoca il ‘martin pescatore’, parla agli animali: all’istrice (“gli istrici parlano con una certa puntuta volgarità”), alla “vecchia volpe dal muso imbiancato”, al cinghiale, alla civetta (“sentinella della notte, i grandi occhi gialli, la sanguinaria cacciatrice”), al corvo (“Nero, col becco giallo e il corvo da pazzo”) alla “strisciante, odiata, reietta biscia, un’esse lustra nell’erba bagnata”, ai “grilli musicisti”, alla capra “con il suo occhio alieno”, al gufo “grande come un drago”, al “grosso e iroso tasso filosofo”, al lupo “grigio, selvaggio, solo”.

Il professore vive in solitudine in un paese sull’Appennino.
La geografia dei luoghi è rappresentata da un disegno infantile e, proprio per questo, chiarificatore. Lavora “al suo libro sulla poesia giocosa” e studia vita e opere del “Catena”: “Domenico Rispoli detto il Catena, poeta maledetto morto nel 1933” in circostanze misteriose e in manicomio, lasciando un prezioso autoritratto custodito dal professore.
Ha per amico Vudstok (“La maggior entrata di Vudstok è il piccolo commercio di marijuana, che coltiva in un canneto dietro casa”) e il cane Ombra.
giorno, nella casa di fronte alla sua, arrivano due nuovi vicini. Lui “Aldo, pittore e mercante d’arte”. “Lo chiamerò il Torvo”. Lei “Trent’anni, Michelle. Una somiglianza con chi non vi dico.” “Per il professore è già la bionda Principessa del Grano”.
Il romanzo non è la semplice storia di un amore senile (“benedetta vecchiaia … che ti permette di desiderare senza prendere, di ammirare senza sfregiare, di soffrire senza far male ad altri”). Ė la storia dei segreti del luogo, che vengono a galla. “Un segreto, almeno uno, deve rimanere. Per la mia immaginazione, per una pagina bianca, per le mie future sere silenziose.
Il linguaggio è animato da pensieri, retropensieri e riferimenti culturali. La storia è raccontata in modo anticonvenzionale, con fughe della fantasia e correzioni (come la cena al ristorante ove il trofeo di un cinghiale si ribella). A volte, ai limiti della mitologia.
Come in questa descrizione di un temporale: “Prima fu chimo, la dea della Pioggia e della Bufera, che scatenò la sua orchestra. Poi Selas il dio del Lampo illuminò la scena, e Timpanon, dio del Tuono, fece risuonare i gong celesti. Infine Giove in persona, ritto in piedi sulla montagna più alta, tese l’arco delle folgori.”

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