Cleopatràs e il primo dei Tre Lai. “Lai” sta per lamenti,
e si tratta di un’opera che Testori scrisse nell’ultimo
anno di vita (1993) e quindi pubblicata postuma (1994).
Un’opera dall’architettura elementare: Inferno, Purgatorio
e Paradiso rappresentati attraverso tre grandi figure
femminili che si raccontano in altrettanti monologhi.
Cleopatra, appunto, Erodiade (Erodias) e Maria (Mater
Strangoscias). Cleopatra e regina d’Egitto, ma viene
risucchiata completamente nella topografia testoriana,
imperniata geograficamente e, ancor piu, linguisticamente,
sulla cittadina di Asso, luogo madre e luogo padre
dello scrittore (che aveva i genitori nati ambedue in
Valassina, in quel triangolo di terra che si allunga tra
i due rami del lago di Como). Asso e “As” nel dialetto
d’origine. E il luogo si fissa nel destino dei personaggi
tanto da inciderne anche il nome: “Cleopatras”, appunto.
Durante uno dei passaggi piu belli del monologo la
regina d’Egitto e della Valassina accompagna, o meglio
trascina, i lettori-spettatori in una cavalcata attraverso
i luoghi della biografia che Testori le ha imposto. La cavalcata culmina nell’approdo a Lasnigo, piccolo paese
della Valassina, dov’era nata la mamma dello scrittore.
A questo punto nel testo si consuma un fisicissimo
corto circuito, per cui i luoghi assumono la carnalita
di un corpo. ≪Mia civis, te, carnascial substanzia…
meo cordon, meo coglion, meo umbelico, tetta de me
e intriga latteria […]. Lasnigo desventrata, te vedo, te
vedo ammo, te tocco, ecco, te tangio…≫. E ancora:
≪eccola qui, eccola, anzo, qua, talmente qua che, ecco,
la se tocca, che se pode, ecco, poggiarci su anca la
bocca…≫. Nel corso della piu recente messa in scena di
Cleopatràs regista e attrice (Luigi Dall’Aglio e Arianna
Scommegna), per reggere anche con i gesti alla forza del
testo, hanno fatto ricorso a un escamotage semplice ma
estremamente consentaneo al testo: Cleopatras vestita
di bianco disegna sulla propria tunica con colori violentissimi
una specie di carta geografica in cui a luogo
si aggiunge luogo, scendendo via via. Quando approda
al luogo topico, Lasnigo, la mappa arriva a coincidere
con il grembo e la vagina. Perche Lasnigo e il punto in
cui, recita Cleopatras, “el me de me sorti quella funestissima
mattina!”. Luogo geografico e luogo del corpo
arrivano a coincidere, a sovrapporsi semanticamente.
Testori e davvero uno scrittore “corpocentrico”, se
pensiamo che un testo come quello che abbiamo brevemente
citato in queste righe venne concepito e scritto
nella consapevolezza di essere arrivato al capolinea, cioè
in una situazione in cui generalmente i “cantieri creativi”
di ogni scrittore o artista si orientano più su esperienze di sublimazione o comunque di presa di distanza dalla materialità dell’esistenza. Per Testori questo non accadde:
anzi sulla scrivania della camera d’ospedale fini con lo
scrivere un testo in cui l’esperienza della parola trova
una fisicità che non risente in nulla del declino “fisico”
che lo scrittore stava drammaticamente vivendo. Verrebbe
da dire che la sua vena creativa godeva in quel
momento di uno stato di grazia e di energia come forse
non gli era mai accaduto in vita. Non si respira mai la
sensazione di un testo “ultimo”.
I Tre Lai, forse il più bel libro che Testori ci ha
lasciato, sono tutto meno che un testamento letterario.
E quindi sono il documento più affidabile di quello che
e il centro della sua esperienza poetica: il rapporto con
il mistero e il dramma del corpo.
E un punto focale che tiene insieme tutti i “vari”
Testori: il romanziere, il critico, il drammaturgo, persino
il giornalista-polemista. E un punto d’attrazione
che genera innamoramenti a ripetizione, come quelli
attraverso i quali guarda, con un’imparzialita cosi potente
da imporsi alla fine come parametro oggettivo e
accettato, alle esperienze dei grandi lombardi che studio
da critico d’arte: Gaudenzio Ferrari, Tanzio da Varallo
e Romanino su tutti. Basta rileggere le pagine con cui
arriva a cogliere la coincidenza che a Gaudenzio riesce
di realizzare tra la pittura e la carne; oppure quelle
in cui sorprende la materia di Tanzio farsi essa stessa
tendine e muscolo; o quella di Romanino impregnarsi
di odori, umori, sudori e aliti. Questo “corpocentrismo” porta Testori ad aprire
una grande questione a livello espressivo: la questione
della lingua. La lingua che ha a disposizione, l’italiano
consumato e abusato, l’italiano svuotato da quella sacralita
e da quella forza che il confronto con il latino
(sinche il latino e restato la lingua della messa) gli
garantiva; l’italiano piallato dall’estinzione dei dialetti,
che ne erano un nutrimento endogeno e non accademico;
ebbene, quell’italiano e lingua che non riesce piu
a seguire la realta, ad esprimerla, a contenerla. E una
lingua che tutt’al piu puo raccontare l’esperienza del
corpo attraverso tecnicismi; ma e una lingua elusiva e
afasica quando si tratta di stare dietro all’attrattivita della
vita e dei corpi che la popolano. Una lingua spianata
da quell’omologazione che aveva cosi drammaticamente
ferito a livello umano e poetico anche Pier Paolo Pasolini.
E cosi che Testori, con l’Ambleto, nel 1972 riapre
il cantiere della lingua in senso inverso a come aveva
fatto il suo per altro amatissimo Manzoni. Anziche
risciacquarla, la reimmerge nell’anarchia dei dialetti, dei
francesismi, dei latinismi. La riaccende con dinamiche
neobarbariche proprio per dotarsi di uno strumento che
reggesse alla forza fisica delle figure a cui doveva fornire
parole. E una lingua senza regole, ma paradossalmente
comprensibile, tanto sa farsi cosa. Una lingua fatta per
essere detta e non per restare solo sulla carta. Scritta
per diventare parola pronunciata. Quindi per essere essa
stessa non atto grafico o mentale ma un atto fisico,
corporale. Una lingua che trova il suo completamento. e la sua apoteosi sulla scena di un teatro, sul corpo di
un attore. Una lingua che a volte si fa con il generarsi
stesso del corpo, come accade nel sillabare smozzicato
da cui prende avvio Factum est (1981). O una lingua
che muore, si spacca, quasi stramazza, con il morire
stesso di chi la pronuncia, come accade nel drammatico
singhiozzo di In Exitu (1988).
In una delle rare fuoriuscite da questo suo territorio
linguistico, in occasione di un testo dedicato non a caso
a Manzoni, I Promessi Sposi alla Prova (1984), la lingua
italiana e continuamente sfidata a rendere la tensione
umana e poetica della storia e dei suoi protagonisti. E
quando il Maestro che guida gli attori in questa sfida
(si tratta di mettere in scena la vicenda dei Promessi
Sposi) deve spiegare il senso del loro essere sulla scena,
evoca la necessita di una parola che s’incarni. E per
stringere di piu l’idea, per liberarla dal rischio sempre
presente di un ritualismo, Testori mette in bocca al
Maestro uno straordinario neologismo: c’e bisogno di
una parola che “s’inossa”.
La lingua diventa una sorta di baluardo. Di arma
che Testori usa per la propria battaglia. Che e quella
di restituire la parola alla sua natura: diventare “carne”.
Battaglia che va ben oltre lui: contro lo spossessamento
del corpo che la scienza opera; contro il processo di
progressiva artificialità che contrabbanda benessere ma
elimina la liberta; contro la cancellazione faustiana di
quella condizione di creaturalità e di dipendenza che
e alla radice della vita e della sua bellezza.
Per quanto Testori sia apocalittico nei contenuti,
in realta il farsi stesso della lingua sulla pagina e sulla
scena, il suo “esserci”, diventa un segno di vittoria.
Corpocentrismo di Testori
Perche se lingua c’e, e presente, sussulta, vuol dire che
anche il corpo che la porta, che la pronuncia e incarna,
ha vinto la sua battaglia. Che l’ha vinta magari nella
disfatta, come accade a Cleopatras, cui tocca, nell’architettura
disegnata da Testori per i Tre Lai, la destinazione
all’Inferno. Tant’e vero che proprio prima di
accomiatarsi morendo e di lasciare il posto a Erodias,
Cleopatras si trova sulla bocca, nell’imprecazione finale,
uno dei piu bei versi scritti da Testori stesso: ≪E che da
Crez vegna gio i scurbat, i mustar e de l’Inferna tutta
la gran gent, no ’sto fil d’aria che l’e gnanca vent…≫
Crez (Crezzo) e altro toponimo della Valassina
testoriana. E il filo d’aria che non ha neanche la forza
di farsi vento e un altro sussulto di immensa nostalgia
e di innamoramento verso il mondo e il corpo da cui
Cleopatras-Testori si deve separare.(Giuseppe Frangi da Attorno a questo mio corpo, Hacca editore, a cura di Pierangeli, Papi, Pacelli
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