Il bellissimo articolo di Paolo Mattei sull’amicizia di Don Giacomo (a un anno dalla scomparsa terrena) e di Padre Bergoglio

Todo cambia (e il cuore stupito rimane)

Da Il Venerdì di Repubblica del 29 marzo 2013, pp. 40-41

LA SERA ANDAVAMO A CENA CON IL PAPA

A PARLARE DI BORGES

di Paolo Mattei

Chissà, forse un presentimento, ma quando, dopo uno sbuffo nero, la fumata del camino della Sistina si è sciolta nel bianco consenso atteso da tutti, mi sono venute in mente le parole della canzone resa celebre dalla mitica cantora popular argentina Mecedes Sosa Todo cambia: «Pero no cambia mi amor, por mas lejos que me encuentre…». Tutto cambia, ma non cambia il mio amore, per quanto lontano mi trovi… E nell’attimo in cui ho visto padre Bergoglio affacciarsi alla Loggia delle Benedizioni, un tuffo al cuore. Lo conosco. Abbiamo cenato insieme a Roma qualche anno fa. Un prete semplice che adesso si chiama Francesco e sarà il vescovo di Roma. Todo cambia. Jorge Mario Bergoglio lo incontrai più di una volta grazie a un grande amico, mio e suo, don Giacomo Tantardini, sacerdote molto vicino a don Giussani e autorevole studioso di sant’Agostino.

Fu nel marzo 2009 che cenai la prima volta con lui. Era a Roma, in visita a papa Benedetto XVI. La sera di sabato 7 marzo, invitato da don Giacomo, celebrò la messa e amministrò la cresima a una trentina di ragazzi a San Lorenzo fuori le Mura. Dopo, don Giacomo mi portò a cena fuori col futuro Papa. A tavola, io e un paio di colleghi giornalisti di 30Giorni, mensile per cui lavoravo, cominciammo subito a fargli domande. Lui rispondeva a voce bassa, e il suo sguardo, mentre parlava, sembrava andare al di là dell’intreccio dei nostri sguardi e delle nostre parole. Gli chiesi delle villas miserias, le favelas di Buenos Aires in cui vivevano molti suoi amici sacerdoti e dove anche lui andava spesso per battezzare, cresimare o dire messa. Là gli era capitato che qualcuno gli chiedesse «pesos por la coca», per comprare la cocaina… «Da quelle parti», commentò, «sono sinceri, per racimolare qualche spicciolo non sentono la necessità di inventarsi scuse». Indossava una semplice giacca nera e il colletto bianco da prete, nessuna vistosa croce cardinalizia. Rispondeva tenendo le braccia appoggiate sulla tavola, senza gesticolare: mi aspettavo un’oratoria da pulpito e invece dovevo sporgermi leggermente per catturare la sua voce mite. Bergoglio mangiò poco. All’arrivo delle portate, le osservava curioso, chiedendo al cameriere delucidazioni. Ma, nonostante il cibo fosse ottimo, assaggiava soltanto, lasciando il resto nel piatto con l’aria un po’ dispiaciuta. Spesso guardava don Giacomo, che, attento, lo ascoltava quasi senza parlare. Non avevo mai incontrato un prelato così importante eppure così bambino: nell’espressione e nel modo di parlare. Raccontava cose anche drammatiche, ma semplicemente. Quando ci salutammo, il cardinale mi chiese sottovoce di pregare per lui e si avviò con passo lento verso l’utilitaria di un mio collega che lo avrebbe riportato nella Casa del Clero di via della Scrofa, dove alloggiava.

Lo avrei rincontrato tre anni dopo, quando molte cose erano, nel frattempo, cambiate. Todo cambia. Come la salute di don Giacomo, che già da qualche mese era gravemente ammalato. Con alcuni amici lo andavamo a trovare quasi tutti i giorni, a casa sua o in clinica. In quel febbraio del 2012 Bergoglio era a Roma per partecipare al Concistoro convocato da Benedetto XVI. La sera del 17 mi invitarono a cena due miei colleghi di 30Giorni, amici del cardinale. Padre Bergoglio era seduto nel soggiorno, sempre nel suo anonimo clergyman nero. Alle sue spalle una grande finestra illuminata dal riflesso dei neon di via Merulana. Appena ci salutammo, mi chiese notizie di don Giacomo. Mentre gliele davo, notai di nuovo quel suo sguardo che mi aveva colpito tre anni prima: gli occhi che per qualche istante sembra buchino l’aria riposandosi su un punto invisibile. Dopo un breve silenzio, mi raccomandò di dire a don Giacomo che l’indomani sera avrebbe dovuto fare uno sforzo e venire a San Lorenzo, perché lui voleva averlo vicino. Anche quella volta, infatti, il cardinale aveva accettato il suo invito a dire messa e cresimare altri ragazzi. Aspettando di metterci a tavola, restammo per un po’ da soli e io cominciai a parlare di Borges: sapevo che Bergoglio apprezzava i racconti. Mi ascoltava tenendo le mani intrecciate sulle ginocchia,

poi raccontò che a metà degli anni Sessanta aveva invitato lo scrittore, suo concittadino, in un collegio gesuita di Buenos Aires perché tenesse un corso di scrittura creativa. Di Borges, al di là della sua distanza dalla Chiesa, lo colpivano la serietà e la dignità con cui viveva la sua esistenza cieca e labirintica. E disse che il cuore di una persona lo conosce solo il Signore.

Mi ritrovai di nuovo a tavola con quel cardinale importante e semplice, e ancora una volta le ore volarono tra le curiosità un po’ sgangherate dei commensali e i suoi racconti, che si concludevano in quegli istanti di silenzio assorto che ormai avevo imparato a conoscere. Don Giacomo morì il 19 aprile di quello stesso anno. Qualche giorno dopo, il cardinal Bergoglio scrisse un articolo su 30Giorni per ricordare il suo amico. Lo definì «uomo-bambino… che si è lasciato stupire da Dio e ha saputo dischiudere il cammino affinché questo stupore nascesse negli altri». Ecco, tra quegli «altri» sento per grazia di esserci anch’io, ancora adesso. Sotto quel balcone illuminato osservo padre Bergoglio che resta qualche minuto in silenzio: nello schermo gigante mi pare di riconoscere il suo sguardo assorto e riposato su un punto invisibile della piazza. Siamo in molti a rimanere stupiti da come todo cambia.

One Comment

  • Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, proverò senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’è solo una cosa di cui vorrei parlare più approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.

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