Leggete Giuseppe Lupo, Viaggiatori di nuvole, Marsilio, 2013, dove fantasia, realtà, amore per il racconto, arrivano a parlarci nel 1449, tra Venezia, Atella e il Nuovo Mondo, della ricerca di pergamene dove si incide il nostro destino, nell’epoca della diffusione della stampa. Intanto, per entrare nel clima del romanzo, ecco un bell’articolo dalla rubrica di Lupo su Avvenire, Atlante immaginario, del 30 settembre 2012 che si lega a nodo doppio alle fonti ispirative dei romanzi di Lupo, che hanno sempre, come epicentro la sua Lucania.

Giuseppe Lupo, Atlante immaginario e Viaggiatori di nuvole.

Ma allora, se anche le macchine si incantano dinanzi a una farfalla, divertiamoci a camminare sull’acqua dei mari inesistenti, a entrare in condomini fittizi, a solcare deserti di sabbia apparsi al posto della verde pianura padana: quel vasto comprensorio di terre che Carlo Levi, risalendo dalla Lucania, aveva chiamato «le campagne matematiche», in confronto alle quali, ovviamente, il labirinto di Matera gli era sembrato la città di Dite. «Questi coni rovesciati – scriveva nel Cristo si è fermato a Eboli (1945) – questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante

Pare che in casa Apple si siano verificati dei problemi e che il funzionamento delle mappe sui nuovi iPad e iPhone lasci parecchio a desiderare. È notizia di qualche giorno fa che la Stazione centrale di Milano si sia spostata di un centinaio di metri o che lo scalo ferroviario di Paddington, a Londra, sia addirittura sparito dalla faccia della terra. Fiumi del Canada emigrati in Brasile, la Statua della Libertà cancellata, città come Matera finite chissà dove.

L’Occidente tecnologizzato e frettoloso è subito andato in allarme: come faranno i cittadini delle metropoli a convivere con questi disastri? Come potranno orientarsi? Per quanto mi riguarda, trovo che il disguido sia un’occasione per divertirci a capovolgere le geografie del mondo: le montagne, se non per la fede in Dio, almeno si spostano per i calcoli sbagliati. Meno male che ogni tanto ci pensano le macchine a confondere la nostra monotona quotidianità, a rendere più avventuroso il grigiore urbano. E finalmente l’istinto di esattezza, l’ossessione di voler tenere tutto sotto controllo e a nostra disposizione svaniscono dinanzi a un programma che si inceppa, poco importa se per la leggerezza di un professionista dell’informatica o per un guizzo della fantasia.
Ma allora, se anche le macchine si incantano dinanzi a una farfalla, divertiamoci a camminare sull’acqua dei mari inesistenti, a entrare in condomini fittizi, a solcare deserti di sabbia apparsi al posto della verde pianura padana: quel vasto comprensorio di terre che Carlo Levi, risalendo dalla Lucania, aveva chiamato «le campagne matematiche», in confronto alle quali, ovviamente, il labirinto di Matera gli era sembrato la città di Dite. «Questi coni rovesciati – scriveva nel Cristo si è fermato a Eboli (1945) – questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante».
Quel labirinto per fortuna è rimasto intatto e i dati turistici ci dicono che Matera, a chi la guarda, appare un’altra pur essendo la stessa di allora, visitata da migliaia di occhi, scrutata dalle terrazze, accarezzata dalle pellicole cinematografiche, sognata perfino dalle scrittrici che ci arrivano da oriente e da occidente, vestite da odalische o da manager, tutte con un romanzo ben stipato nella loro sacca. È il rito del Women’s Fiction Festival che si rinnova una volta all’anno nel budello di tetti e stradine: una manifestazione unica in Italia che non poteva trovare, se non laggiù, il luogo adatto per celebrarsi.
Matera, infatti, è la città delle pietre e, se è vero che le parole sono pietre (Calvino sarebbe inorridito, ma lo dichiara Carlo Levi nel titolo di un’opera pubblicata nel 1956), dal tufo e dai calanchi fiorisce la letteratura. Già il nome stesso, Matera, ricorda il termine materia, mater, madre.
Matera è la madre delle pietre e la pietra è anche la materia con cui si impastano i libri: taglienti e spigolosi come sassi, levigati da un’aria antica e solenne, che avvolge i muri delle case, dilata la cintura di orti e di terrazze, dona al chiaro delle pareti una religiosa paura, come se qualcosa di arcano e di profetico stia per manifestarsi, come se il mistero dei misteri fosse a un passo dall’essere svelato.

Ci sarà un motivo per cui Pasolini scelse questo groviglio di bianche scalinate per narrare la morte di Cristo nel Vangelo secondo Matteo? E la stessa cosa si è ripetuta, a un livello forse più banale, con Mel Gibson. Matera come Gerusalemme: in nessuno altro luogo del Sud possono convivere le parole e la Parola perché qui tutto appartiene alla terra, sotto ogni pietra, scriveva Sinisgalli, «ha l’inferno il suo ombelico» e il tempo si è divertito a scrivere la sua storia sugli strati di roccia.

L’idea incanta, seduce. Resta un’ultima operazione da fare: aprire le mappe di Apple, verificare se Matera non sia finita tra le palme delle oasi o vicina ai pozzi di petrolio, in qualche angolo di Medio Oriente. (Giuseppe Lupo, Atlante immaginario, 30 settembre 2012)

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