Allieva di Gianni Venturi a Firenze, pavesista colto e intelligente della prima ondata (oltre i noti studi rinascimentali e sui “giardini”), Beatrice Mencarini, originalmente sulla scia del Maestro, in L’inconsolabile. Pavese, il mito e la memoria, Edizioni dell’Orso, 2013, ricostruisce tra l’altro i rapporti conflittuali, proprio su Pavese, di Karoly Kereny e del suo migliore allievo, l’egittologo torinese Furio Jesi, non diversi, per certi aspetti, da quelli di un De Martino, come risulta dal brano citato, a pag. 13.

Intellettuali di fronte alla memoria, alla morte e alla religio: un toccante saggio su Pavese e la sua epoca di Beatrice Mencarini

Prendi la morte, la crisi ultima e definitiva della presenza dell’individuo. Come puoi eliminarne il carattere drammatico?

Così il grande etnologo marxista Ernesto de Martino al germanista Cesare Cases, dal letto di ospedale, malato di tumore. Un brano toccante, come intelligente il commento di Beatrice Mencarini che cita questo episodio tragico per descrivere la profondità dei valori in campo intorno al mito e alla poesia come intesa da Pavese: ricerca dell’assoluto, della religio in anima e corpo. Un conflitto vivo in lui in modo assolutamente scoperto, in altri, vedi appunto Cases e De Martino o Jesi e Kereny tenuto celato o combattuto aspramente. Cito l’intero passaggio del libro della Mencarini:

Cesare Cases , in un toccante articolo del 1965, ci riporta alcune parole di de Martino da lui pronunciate alcuni mesi prima di morire. Cases va a trovare de Martino all’ospedale, dove è ricoverato per la malattia che lo sta consumando, e i due affrontano il problema del rapporto tra Marx e la religione. De Martino postula l’esigenza di un simbolismo laico che metta in grado l’uomo che vive nella società senza classi, l’individuo che realizza il significato della propria esistenza, di affrontare il dramma della morte. Ma poi il suo discorso sembra perdere certezza ed ecco aprirsi lo spazio di un conflitto:

Prendi la morte, la crisi ultima e definitiva della presenza dell’individuo. Come puoi eliminarne il carattere drammatico? Sì, certo, anche qui il limite si può spostare […] Ma il limite lo potrai spostare, non abolire. E, capisci, se uno ha il cancro e sa che deve morire, beh, allora ha un bel sapere che Dio non c’è, la tentazione è grande … E questo caro mio, in Marx non ci sta scritto.

Questo era necessario premettere per comprendere il punto di vista da cui Jesi, nel descrivere l’approccio degli autori di cui si occupa, chiama religio mortis quella che forse è semplicemente una religio: ovvero il tentativo di dare senso all’esistenza in una visione che comprenda sia la dimensione terrena che quella spirituale.
[…]
L’arte infatti, nel raffigurare ed esprimere il rapporto che l’uomo intrattiene con le grandi relatà universali e spirituali, è una forma di contatto con l’assoluto e con il sacro, una forma di manifestazione religiosa. E la “mascheratura” umanistica di cui parla Jesi, ovvero lavorare per l’uomo, raccogliere miti, spiegare le religioni, scrivere poesie e romanzi e parlare della morte, è comunque è comunque una forma d’impegno.

No Comments

Leave a Reply

Your email is never shared.Required fields are marked *