Ho provato di recente a scrivere racconti con personaggi che hanno un nome, ma non erano veri e non li stamperò mai. Nel mio romanzo (Gli Angeli dello sterminio) nessuno ha nome. E’ tremendo: vuol dire che siamo oggetti, numeri, resi beoti e apparentemente felici e potenti da una minore miseria. Siamo fabbricati.
Io non riesco, come fanno gli altri, a piegare gli argomenti alla mia struttura stilistica. In exitu, ad esempio, era la storia di un drogato che moriva, alla Stazione Centrale, ma anche un tragico amalgama di italiano, latino, francese, milanese, dialetto brianzolo. Qui invece, negli Angeli dello sterminio, il tema, il racconto del disastro, ha richiesto un linguaggio, non dico gelido, ma lucidissimo, nonostante tutto. Un linguaggio normale, ha detto un critico, eppure animato da una misteriosa vitalità. E’ un altro passo, credo, del dramma linguistico che ormai accompagna i miei libri.
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