Il bel racconto della scrittrice siciliana, edito da Nottetempo

Elivira Seminara: La penultima fine del mondo

Riapparizioni fugaci di ombre, di nuovo un chiarore, un frigorifero che si apre. Adesso un corpo, un uomo che esce sul balcone, fuma immobile una sigaretta.
La comunità dei dormienti si muove sulla soglia di ogni universo, ignara di essere comunità. Non sa di amarsi. Ed è un amore raro, fatto di muta condivisione e miracolosa estraneità per questo sparisce con l’evidenza del sole e dei rumori. Nessuno sparerà, stanotte, in queste strade piene di notte, per non violare il patto.

Tra domande “ultime” e ironia, comicità, leggerezza del “penultimo”, il racconto di Elvira Seminara, La penultima fine del mondo è molto originale, su di un tema caro alla letteratura, ma affrontato, di solito, senza l’orma extravagante del penultimo, e l’ilare gestualità (della morte) che ne consegue tipica della scrittrice e giornalista siciliana. Non capivo, leggendo il racconto, se trattenere il sorriso in quella situazione (che in qualche misura è il nostro specchio quotidiano, dove le deformazioni sono nello sguardo e nella rassegnazione nostra, solo nostra) o lasciarmi andare insieme alle lacrime a quei ritratti a quei propositi, a figure che, messe insieme, mi hanno ricordato Buster Keaton e le sue impossibili costruzioni. Quello che si può dire della trama, lasciando al lettore il gusto dei particolari, dei personaggi di una frase o di una pagina, con qualche protagonista, ma in definitiva corale, è presto detto: in un paesino della Sicilia, per nessuna ragione apparente, la gente comincia a suicidarsi. Nella suspense del momento, sempre delicata, la Seminara infila, come detto, le domande radicali, sul senso della vita contemporanea, sul valore dell’esistenza, sulla noia, sulla superficialità delle nostre azioni. Bellissimi gli scorsi paesaggistici (quell’inno alla notte dello “scrittore” da cui ho tratto il brano qui sopra), quasi in contrasto con la paura di vivere, con la sindrome del suicidio, improvviso e senza ragione.
C’è sicuramente molto di Guido Morselli (o forse è mia deformazione professionale!) quando lo scrittore che giunge in paese ha la sensazione di essere l’ultimo uomo al mondo e che l’umanità (qui però limitatamente a quel paese) si possa essere sublimata, condotta o condannata da qualche altra parte. Sicuramente ritorna, in questo insolito clima tra noir e comico, il desiderio degli scrittori di sbirciare oltre la fine, ognuno con le proprio armi, a descrivere l’unica cosa che non si può descrivere, la propria e l’altrui morte, Allora soccorre la penna, quella lievissima fantasia che rimane il tratto puro e specifico di Elvira Seminara (leggete il libro precedente, sempre per Nottetempo, divertentissimo: Scusate la polvere).
Non è escluso che la vittoria sia dei bambini, oltre la rete innalzata per isolare quello strano paese, sconfitto l’attrazione per il suicidio e la morte che assomiglia ad una apatia generale. O forse vincerà proprio il potere della letteratura di raccontare un suo universo, autonomo, fantastico, altro, reale o irreale, ma, nel caso della Seminara, sempre in grado di parlare al cuore, tramite il riso, o il sorriso, la tenerezza. In questo caso, anche se dovranno arrendersi davanti alle reti, i bambini e lo scrittore potranno camminare lo stesso percorso, dentro o fuori un IPAD, specchio dei ritmi contemporanei della scrittura e della vita.

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