“I pugni rimangono in tasca e le tasche sono anche rotte”, mi dice Rocco, usciti all’aria aperta dopo lo strangolamento di una “storia frantumata”, nello spettacolo I pugni in tasca, tratto, dallo stesso regista Marco Bellocchio dal suo film di più di quarant’anni fa. Mi viene in mente una espressione della poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri (in teatro con Caino, ne riparleremo) da Paesaggio con fratello rotto: “Non facciamo altro che udire parole funebri…Sono stanca di vedere fotografata l’ira, la nostra faccia lurida… Ringrazio chiunque mi porti una parola luminosa”. Rocco, figura imponente e dolce, insegnante di sostegno, amante della matematica e del tedesco, è poeta di parole luminose, dono di fatti e volti. Poeta della gratitudine verso tutti i suoi amici che si radunano per pregare insieme nella Basilica di San Lorenzo e dei Santi Cosma e Damiano, ai Fori, nel cuore di Roma.
Nella luce del mattino/nella nostalgia della sera/su valli, mari, monti, città traffici e silenzi/ brilla “ridente e fuggitiva” la lucciola della Bellezza// Schiva, pudica eppur chiara di suoni, canti/ sorgente e mare, riga nel cielo/ verso l’orizzonte vicino del cuore (Rocco Auciello)
E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE
In un articolo di qualche giorno fa pubblicato su La Repubblica, Roberto Saviano citava una frase di don Milani: <>.
È vero, praticare una scrittura che abbia una presa diretta sulla realtà significa spesso divenire ambasciatori di parole funebri, fotografare l’ira, mettere a nudo la vera identità di volti apparentemente rispettabili. A volte però la parola, per tornare a risplendere in tutta la sua luminosità, va conquistata, inseguita lungo percorsi complessi, che non esitano a sprofondare nell’oscurità, non temono di raccontare <>, prima di tornare <>.
Le parole e il titolo del citato articolo di Saviano, Il diritto di sognare un’Italia pulita, comunicano un de-siderio (etimologicamente ‘mancanza di stelle’), un’ardente sete di felicità, una mancanza di parole luminose che lo ha spronato a seguire l’esempio di don Milani e di Dante: sporcarsi le mani, ovvero sprofondare nell’Inferno alla ricerca della <>.
E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE
In un articolo di qualche giorno fa pubblicato su La Repubblica, Roberto Saviano citava una frase di don Milani: ‘A cosa sarà servito avere le mani pulite se le abbiamo tenute in tasca?’.
È vero, praticare una scrittura che abbia una presa diretta sulla realtà significa spesso divenire ambasciatori di parole funebri, fotografare l’ira, mettere a nudo la vera identità di volti apparentemente rispettabili. A volte però la parola, per tornare a risplendere in tutta la sua luminosità, va conquistata, inseguita lungo percorsi complessi, che non esitano a sprofondare nell’oscurità, non temono di raccontare ‘sospiri, pianti e alti guai’, prima di tornare ‘a riveder le stelle’.
Le parole e il titolo del citato articolo di Saviano, Il diritto di sognare un’Italia pulita, comunicano un de-siderio (etimologicamente ‘mancanza di stelle’), un’ardente sete di felicità, una mancanza di parole luminose che lo ha spronato a seguire l’esempio di don Milani e di Dante: sporcarsi le mani, ovvero sprofondare nell’Inferno alla ricerca della ‘lucciola della Bellezza’.