Non di rado nei laboratori “improvvisati” di esercitazioni di scrittura abbiamo lavorato sui racconti della scrittrice canadese, Premio Nobel Letteratura 2013. Ecco il brano che ho riportato nel mio testo In attesa della festa, Universitalia, 2010. Volete pensare ad un finale?

“La conversazione dei baci. Sommessa, eccitante, sfrontata, rivoluzionaria”: giocare con Alice Munro

La conversazione dei baci. Sommessa, eccitante, sfrontata, rivoluzionaria. Quando smisero tremavano entrambi, e fu con fatica che lui recuperò il controllo della voce, sforzandosi di assumere un tono pratico.

L’asciutta e penetrante scrittura di Alice Munro, scrittrice canadese, riconosciuta tra le massime autorità del racconto breve, si distingue per l’abilità nel descrivere la situazione psicologica dei personaggi, condensandola in correlativi oggettivi o piccole astuzie, giocando di rimando. Si veda il racconto Scherzi del destino, contenuto nella raccolte In fuga ora anche nella Tascabile economica Einaudi.
Robin è una ragazza giovane, con un’unica vera passione, quella per il teatro. Ogni anno si reca ad una delle rappresentazioni estive di Shakespeare nella cittadina di Stratford. Per recarvisi deve prendere il treno. Questo rituale che compie è l’unico momento completamente suo, rubato ad una esistenza problematica e apatica. Chiedetevi perché il racconto inizia proprio dall’esclamazione rabbiosa su di un vestito non ancora pronto: sapremo molto più avanti, a metà circa, che si tratta del correlativo oggettivo di qualcosa di importante che ancora deve essere tenuto nascosto e nello stesso tempo esibito, come la traccia di Pollicino che non sarà divorata dagli uccellini. Esordio posto a metà della storia, non nel capovolgimento totale di Tolstoj e di Roth, ma da un punto intermedio. Perché la storia è divisa in due fasi, e il secondo lacerto temporale si fraziona ancora in due parti. Attraverso il dialogo, con pochissime battute, viene data la possibilità di distinguere nettamente tra due personaggi, Robin, la protagonista, e la sorella, introducendone anche un terzo. Entra poi nell’argomento centrale attraverso l’amore per il teatro, che la rende orgogliosamente unica. Non sa di mettersi in qualche senso nella rete shakespeariana degli inganni, degli incontri casuali o mancanti, delle truffe. Bellissima poi l’immagine del cigno: è una pietruzza o una briciola, se vogliamo usare le metafore della favola di Pollicino. Sono indizi che ci porteranno di nuovo alla casa-cuore del racconto o rappresentano un abile depistaggio della Munro?

«Mi ammazzo» disse Robin una sera di tanti anni fa. «Se quel vestito non è pronto, io mi ammazzo.»[…]
«Ho detto, mi ammazzo» ribatté Robin provocatoria. «Mi ammazzo, se entro domani quel vestito non è pronto. In tintoria».
«Mi era sembrato che avessi detto così. Ti ammazzi?». Una dichiarazione del genere non sarebbe mai uscita dalla bocca di Joanne. Si esprimeva in modo così pacato, lei, con uno sdegno talmente composto, mentre il suo sorriso, già svanito, non era altro che un’impercettibile tensione agli angoli della bocca.[…]
Joanne aveva ormai trent’anni; Robin, ventisei. Joanne era acerba di corpo: stretta di torace, viso lungo e giallastro, capelli castani, dritti e sottili. Non provava mai a fingere di essere altro che una sventurata, a metà strada fra l’infanzia e la maturità. Bloccata, mutilata, in un certo senso, da una violenta forma di asma cronica, fin da bambina. Da una persona del genere, una che d’inverno non metteva il naso fuori casa e di notte non poteva essere lasciata sola, non ci si aspettava uno spirito tanto incline a devastare a parole la stupidità di gente ben più fortunata. Né che potesse attingere a tali riserve di disprezzo. Nella memoria di Willard, era una vita che assisteva alla scena di Robin con gli occhi pieni di lacrime per la rabbia, mentre Joanne le diceva: «Si può sapere cos’hai adesso?»
Ma quella sera Robin registrò appena la stangata. Domani andava a Stratford, era il suo giorno, e già si sentiva fuori dalla giurisdizione di Joanne.
«Cosa danno, Robin?» chiese Willard, nel tentativo di appianare la crisi, se possibile. «Qualcosa di Shakespeare?»
«Sí. Come vi piace.»
«E tu riesci a seguirlo? Shakespeare?»
Robin disse di sí.
«Sei eccezionale»
[…] Non leggeva mai prima il testo e non le importava che fosse una tragedia o una commedia. Neanche una volta le era capitato di imbattersi in qualcuno di sua conoscenza, a teatro come in strada, e la cosa le piaceva moltissimo. Una delle sue colleghe infermiere le aveva detto: «Io non avrei mai il coraggio di fare una cosa del genere, da sola.» E quella frase le aveva fatto capire quanto dovesse ritenersi diversa dagli altri.[…] L’anno prima aveva visto Antonio e Cleopatra. Dopo lo spettacolo, passeggiando lungo il fiume, aveva notato un cigno nero – il primo della sua vita -, un silenzioso intruso che scivolava sull’acqua e mangiava a breve distanza da quelli bianchi. […]

All’uscita del teatro s’imbatte in uno grosso dobermann dal nome Giunone e nel suo padrone e si accorge di aver perso la borsa, con il biglietto del ritorno e tutti i soldi. L’uomo si offre di aiutarla, pagandole il treno.

Anziché raggiungere Giunone che lo aspettava più avanti, il proprietario richiamò la cagna. E l’agganciò al guinzaglio che aveva in mano.
«Sull’erba la lascio libera. Giù, sotto il teatro. Lei è contenta. Ma quassù dovrebbe stare al guinzaglio. Sono stato pigro. Si sente male?»
Robin non fu nemmeno sorpresa per quel cambiamento di rotta nella conversazione. Rispose: «Ho perso la borsa. È stata colpa mia. L’ho lasciata sul ripiano del lavabo nella toilette del teatro; poi sono tornata a cercarla, ma non c’era più. Sono uscita dimenticandola lì dopo lo spettacolo».
«Che cosa davano oggi?»
«Antonio e Cleopatra», disse lei. «Dentro avevo i soldi e il biglietto del treno per tornare a casa».
«È venuta in treno? Per vedere Antonio e Cleopatra?»
«Sí»
[…]
«Cosa la fa sorridere?» chiese l’uomo.
«Non so».
«Be’, continui pure», disse lui «perché sarò felice di prestarle un po’ di soldi per il treno. A che ora deve partire? ».
Robin gli disse l’orario, e lui: «Perfetto, ma prima dovrebbe mangiare qualcosa ».

Manca del tempo alla partenza, i due vanno nell’appartamento di lui, che, al primo piano, è adibito anche a negozio di orologi, Lui è orologiaio e viene dal Montenegro. Cucina un piatto jugoslavo alla ragazza, i due conversano cordialmente. Dopo cena fanno una passeggiata lungo il fiume e poi Daniel (Danilo) accompagna Robin a prendere quello che ormai è l’ultimo treno per tornare a casa. Lei gli chiede l’indirizzo per potergli restituire i soldi. Lui non accetta, ma le strappa una promessa; quella di tornare a cercarlo l’anno successivo in quel negozio. Di tornare con il vestito che ha indosso. E le chiede se anche per lei è stato importante quel loro incontro. Alla conferma di Robin prendono a baciarsi. La scena ha il sapore, secco, dell’assoluto che si piega all’attimo transeunte, magari per una volta sola nelle loro esistenze.

La conversazione dei baci. Sommessa, eccitante, sfrontata, rivoluzionaria. Quando smisero tremavano entrambi, e fu con fatica che lui recuperò il controllo della voce, sforzandosi di assumere un tono pratico.
«Non scriviamoci lettere; le lettere non sono una buona idea. Dobbiamo solo ricordare, e rivederci l’estate prossima. Non è il caso che tu mi faccia sapere. Vieni e basta. Se la penserai come adesso, vieni e basta»

Non andate oltre nella lettura, intanto procuratevi il racconto, si trova anche facilmente nelle biblioteche comunali. Provate a riassumerlo da un altro punto di vista, fino alla partenza di lei, ovvero notando altri particolari e poi, dopo il bacio, prima di andare avanti, pensate a cosa potrà succedere l’anno seguente. Costruite, intanto, magari a vuoto, i caratteri dei due protagonisti, inventare quello che di Danilo la storia non dice. Non leggendo il finale, provate a mettere insieme delle ipotesi su come va a finire, cambiando il punto di vista alla stessa scena da raccontare: prima con gli occhi di lui e poi con gli occhi di lei. Ancora, di nuovo, in terza e ancora con gli occhi di un personaggio estraneo che vi assiste: un tecnico delle luci, ad esempio, oppure un attore shakespeariano.

In realtà i finali saranno due. Se tenete presente gli inganni della Commedia dell’arte, echeggiati in Shakespeare e in Goldoni, arriverete forse vicini alla conclusione della Munro.

Intanto il primo dato, da confrontare, se siete stati al gioco, con le vostre soluzioni: l’anno seguente Robin si reca nel negozio. Ma Daniel sembra non accorgersi della presenza di lei che lo chiama. Anzi, poi la guarda con aria indisponente e le serra la porta guardando in alto, verso le scale all’interno. La ragazza fugge via in lacrime pensando che ci sia un’altra donna, forse una moglie.
Fermatevi ancora, e rifate lo stesso esercizio, passano nel frattempo molti anni, diciamo dieci…….

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