La partita della bellezza contro la tentazione del cinismo

Alla luce del sole con Vincenzo Cerami

La partita di Cerami, la poesia contro l’oblio della storia

La recensione di Maurizio Soldini su AVVENIRE

a Vincenzo Cerami, Alla luce del sole, Mondadori, Lo Specchio, 2013, € 16,00di

La metafora della partita della vita è tutta giocata dentro Alla luce del sole e, nonostante la consapevolezza di essere in zona Cesarini, vi è uno sforzo di vitalità e di soprassalto energetico a profondere tutto l’agonismo per cercare di vincere la partita nel nome della bellezza, della poesia,nonostante i frequenti ritorni della fiamma del nulla. L’agonismo di Vincenzo Cerami è lo stesso di quello di ginnasti, acrobati, artisti, cantati in questa estrema raccolta nella terza sezione intitolata Salti mortali, nella quale si intessono in poesia le gesta di funamboli virtuosi, che si destreggiano abilmente nei loro esercizi e sono campioni come Faillo di Crotone, vincitore dei Giochi Pitici. Il poeta è come l’atleta, ecco il sillogismo, che artisticamente cerca l’equilibrio tragli estremi, brandeggia in un cosmo che è bellezza (ma anche bruttezza) dove Arduo gioco di equilibrio/ è la plastica beltà. Questa è la poetica dichiarata di Cerami, che correla il poeta al ginnasta. All’equilibrista. Equilibrio di forme, ma anche equilibrio di sostanza. E la sostanza sta tutta nel cercare di armonizzare passato e presente, storia particolare-personale e storia in assoluto-universale, memoria e oblio, gioie e dolori, e infine se non soprattutto vita e morte. Nella prima sezione, Distanze, si accenna di già all’esistenza come tabula lusoria e con mestizia si prende atto che In questo ludus di mercenari/ al soldo del fato/ vince l’ignoto verso cui, giocando,/ si muove il mondo. Mondo nel quale si rischia la marmorizzazione, si rischia di diventare con la morte statue come quelle dei busti degli antichi romani, che popolano la città del poeta. Statue il cui marmo non ha da che essere lucidato e ripulito da qualche manutentore peressere tenuto in vita a ricordare la morte. Marmo che non può non rimandare al suo doppio della pietra tombale. Era meglio un mondo di nulla/ senza sacerdoti e senza cani,/ senza i delitti della felicità, è il grido disperato del poeta che sente avvicinarsi la morte, che rende vano tutto e che fa addirittura assimilare la felicità ad una rea che compie delitti, dal momento che illude. E meglio allora sarebbe stato il niente piuttosto che l’essere, in un recupero pieno del pessimismo cosmico leopardiano. Ma vi è il soprassalto agonistico di chi vuole comunque sfidare la morte: … batto le mani contro il muro/ perché non voglio più morire. Nonostante ritorni spesso, come in Rondò, un nichilismo di fondo proprio di quell’essere per la morte non so quanto mediato da Heidegger o da Leopardi: Tutti siamo nati per morire/ e si comincia a morire / quando si è nati. Ma il poeta riesce, lottando, a trascendere la morte, in qualche modo a farsene un onere per onorare in qualche modo la vita, mi sia consentito, anche a futura memoria, per quanto senza nessuna retorica e con uno stile affabulatorio e antilirico, che comunque sia in questa raccolta raggiunge vette di alto lirismo quando subentrano affetti e passioni, come nella sezione Padri. Ma nell’affabulatore di mestiere, che è Cerami, fromboliere pronto per giocare anch’io la mia partita/…/ con lettere mie e un mio segreto// sapere cosa dire e cosa fare, e per fare il suo goal, vi sono i Congedi, la penultima sezione della silloge, in cui si gioca tutta l’ironia a pedale basso, immersa nel mondo di una realtà sfacciatamente istrionica o di un accorato ultimo grido al proprio Paese, in Italia mia,poemetto finale, per denunciare con fremito civile, che si sta facendo sempre più tabula rasa la storia del nostro Paese, dove il gioco si fa sempre più difficile e non ha nulla da insegnare l’eroe di pietra/ a cavallo, in mezzo ai giardinetti. Il lascito testamentario è chiaro: abbiamo bisogno della parola viva dei poeti, viva come la bellezza dell’agone degli atleti, e non dei busti di marmo dei trapassati, per esorcizzare la morte.

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