Nel bel sito di Davide Malacaria, Piccole Note la rubrica di versi… un saluto cari amici

Bella poesia citata dall’amico Paolo Mattei (detto Cina)

Il tempo
di Giu­lio Cam­ber Barni

Se il tempo di­ven­ta se­re­no
il 10 fa­re­mo l’a­zio­ne
se il tempo di­ven­ta se­re­no…

Ed i sol­da­ti scru­ta­ro­no
le stel­le e il fir­ma­men­to,
pe­sa­ro­no re­spi­ran­do
il fre­mi­to del vento.

Ma il 9 si vide splen­de­re
un cer­chio in­tor­no alla luna
la luna era ve­la­ta
d’un velo ne­bu­lo­so.

I sol­da­ti e gli uf­fi­cia­li
che sta­van da 30 gior­ni
in at­te­sa del­l’a­zio­ne
si guar­da­ro­no l’un l’al­tro
si sa­reb­be­ro ba­cia­ti.

Al­l’al­ba del 10 pio­ve­va

Que­sti versi di guer­ra fu­ro­no scrit­ti nel 1916 da Giu­lio Cam­ber Barni, che in un’in­ter­vi­sta del­l’i­ni­zio degli anni Qua­ran­ta del se­co­lo scor­so così ri­spon­de­va a chi gli pro­po­ne­va un pa­ra­go­ne fra la sua poe­sia e quel­la di Un­ga­ret­ti: «È un giu­di­zio che non può man­ca­re di lu­sin­gar­mi. Un­ga­ret­ti però, a dif­fe­ren­za di me, è un au­ten­ti­co, gran­de poeta che in­ci­den­tal­men­te è stato anche sol­da­to, men­tre al­l’op­po­sto io sono un sol­da­to che ha tro­va­to quel­le pa­ro­le per di­ve­ni­re epi­so­di­ca­men­te poeta».
E in ef­fet­ti, Barni, la guer­ra la co­no­sce­va molto bene: per de­sti­no ana­gra­fi­co (era nato nel 1891) si trovò a com­bat­te­re sia nel primo sia nel se­con­do con­flit­to mon­dia­le, du­ran­te il quale, nel 1941, dopo aver con­qui­sta­to un con­si­sten­te pa­tri­mo­nio di me­da­glie e croci al va­lo­re, perse la vita per le con­se­guen­ze di una ca­du­ta da ca­val­lo.
È un’im­pre­sa ardua tro­va­re qual­che trac­cia del poe­ta-sol­da­to nelle an­to­lo­gie poe­ti­che o nelle sto­rie della let­te­ra­tu­ra del No­ve­cen­to, seb­be­ne il suo la­vo­ro fosse molto ap­prez­za­to da scrit­to­ri suoi con­tem­po­ra­nei, come, tra gli altri, Giani Stu­pa­ri­ch, Um­ber­to Saba e Vir­gi­lio Giot­ti, il quale nel 1935 rac­col­se in vo­lu­me le li­ri­che che il mi­li­te trie­sti­no aveva com­po­sto du­ran­te gli anni di trin­cea della Gran­de Guer­ra.
In que­sta poe­sia ci sono sol­da­ti che scru­ta­no il cielo. Au­spi­ca­no un prov­vi­den­zia­le peg­gio­ra­men­to me­teo­ro­lo­gi­co che renda im­pos­si­bi­le «l’a­zio­ne». E la luna for­ni­sce un in­di­zio di spe­ran­za con quel gi­ro­ton­do di luce om­bro­sa che la of­fu­sca. Poi, la piog­gia, be­ne­det­ta. L’a­zio­ne non si farà.
Nel com­po­ni­men­to sono in­di­ca­te due date, il 9 e il 10 di un mese non spe­ci­fi­ca­to. Po­treb­be es­se­re un set­tem­bre, come quel­lo cor­ren­te: il 9 si riu­ni­rà il Con­gres­so Usa per di­scu­te­re e vo­ta­re la mo­zio­ne sul­l’in­ter­ven­to ar­ma­to in Siria.
Da quel­le parti, e ovun­que nel mondo, si scru­ta il cielo e ci si au­gu­ra, ora come al­lo­ra, una piog­gia be­ne­det­ta.

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