Dall’introduzione di Daniela Iuppa a Giovanni Testori Voci femminili, che presentiamo a Roma lunedì 17, Università Tor Vergata, Lettere e Filosofia, Aula Moscati, ore 16, con Iaia Forte, Luca Doninelli, Giuseppe Frangi. Pare non esserci alternativa: o l’acconsentire ad un potere, piccolo o grande (nella manifestazione più comune della complicità della lotta di tutti contro tutti per il predominio di un proprio territorio), oppure il riconoscimento di una gratuità tenera nell’atto della nascita e quindi del dono della vita.

“Se esser femmina signifiga la sira slungasciarsi in sul letto e, di poco in poco, come in un ventro materno, insognarsi del niente e reposare”.

La morte non è che la dichiarazione e la conferma ufficiale della prima e insuperabile sconfitta che è rappresentata dalla nascita. Tutto il peso che in Testori ha il sesso insanguinato va inteso in questa direzione: si nasce per soffrire in maniera orribile, per essere schiacciati dall’amore, per non arrivare a conoscere Dio.

La Ledi ambisce al poteraz, oscena sintesi linguistica che palesa l’identificazione del princpio maschile del potere. La donna si trasforma nel suo opposto invertendo l’intero ordine naturale: da madre diviene assassina, da accogliente e comprensiva a spregevole e senza scrupoli, mentre il principio femminile della creazione sopravvive in Macbet(to), che dopo essersi macchiato del sangue del suo amico, comprende che la verità della sua vita non sta nel potere, come gli aveva profetizzato la strega, ma nella pace:

Macbet: Oh pase,
oh brinenta, narcotissima converta della pase,
spegnimento d’ogni vose,
tacimento d’ogni ombria,
eva in te, eva in te,
eva lì, sì, eva lì
la vera vita mia!
Strega: Quest’eva di te insolamente la parte tettereccia e femminenta.
Macbet: Se esser femmina signifiga la sira slungasciarsi in sul letto e, di poco in poco, come in un ventro materno, insognarsi del niente e reposare.

Dal dialogo appena riportato emerge il ruolo che la femminilità, vissuta nella sua verità, può assumere per Testori: se il potere strega la considera sinonimo di debolezza, incapacità e dipendenza, Macbeth-Testori scorge in lei la possibilità di riposo, di pace, di quiete del cuore, come in un “ventre maternale”, che, però, ultima ambiguità della Trilogia degli Scarozzanti, viene riconosciuto sì luogo di riposo, ma anche associato al niente: l’uomo come goccia che brama di rientrare e dissolversi nell’indistinto nulla da cui ha preso a palpitare.(Daniela Iuppa, Introduzione a Giovanni Testori, Voci femminili, Roma, Studium, 2014)

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