Io credo di non aver sciupato il tempo, durante tutti questi anni, e la mia fortuna è stata di aver trovato, nei libri, gli educatori che mi occorrevano. Poiché il nostro intelletto – l’intelletto dei comuni mortali – è soltanto la lanterna che illumina la strada; ma la mente del genio è il sole che illumina il mondo (Giorgio William Vizzardelli dal bel saggio di Beatrice Mencarini contenuto nel libro che si presenta il 19)

Le redini di una vita nuova, dal carcere alla storia dell’arte

La testimonianza di un “caso” unico della delinquenza minorile.
Giorgio William Vizzardelli

di Beatrice Mencarini

Giorgio William Vizzardelli è stato un pluriomicida che ha ucciso cinque persone a Sarzana, cittadina nella provincia spezzina, dal gennaio 1937 al dicembre 1939. Vizzardelli era nato nell’agosto del 1922 e dunque, all’età dei suoi primi delitti, non aveva neppure 15 anni. Incastrato dalle forze dell’ordine solo per il suo delitto finale, viene arrestato e condannato all’età di 17 anni. Le imputazioni a suo carico sono molte, tra cui cinque omicidi, due rapine e un tentato omicidio.
I tecnici Macaggi e Franchini eseguono una perizia psichiatrica sul ragazzo che viene definito pienamente capace d’intendere e di volere e perfettamente cosciente dell’illecito penale, giuridico e sociale dell’azione delittuosa che stava compiendo. L’unica anomalia che lo caratterizza è una ipotrofia della sfera emotivo-affettiva, cioè una mancanza di sentimenti, emozioni, empatia.
La pena di morte è esclusa data la sua minore età e viene commutata nella condanna all’ergastolo. È una sentenza importante che fissa un primato: è la prima volta che in Italia si condanna un minorenne all’ergastolo.
La sentenza sembra esser stata molto influenzata dalla perizia psichiatrica che, nel 1940, dopo una lunga serie di esami e valutazioni, lo dichiara “delinquente per tendenza”. Infatti, cresciuto in un buon ambiente sociale e in una famiglia rispettabile, ed esclusa l’infermità mentale, viene da pensare che il comportamento del Vizzardelli riveli «una speciale inclinazione al delitto» che trova la sua causa «nell’indole particolarmente malvagia del colpevole» .
Franchini infatti dichiara che «in sede di perizia il termine tanto discusso di delinquente per tendenza non fu naturalmente portato come giudizio conclusivo: non si tratta di una diagnosi medica e spetta, come è noto, al magistrato di definirlo. Furono tuttavia messi in opportuna luce tutti gli elementi che potevano portare a tale giudizio ed io credo che se tale figura dovrà essere esclusa in questo caso, bisognerà allora cancellarla dal Codice stesso» .
Rivelatore di questa tendenza è di sicuro l’ultimo delitto, compiuto con sei colpi di scure ai danni del custode dell’Ufficio del Registro per eliminare un testimone e per assicurarsi l’impunità dopo un grave furto. Interessante a questo proposito anche un’affermazione dell’imputato che, interrogato sull’eventuale possibilità di vita normale e onesta che avrebbe avuto imbarcandosi prima di essere fermato, risponde: «Non credo che avrei resistito molto a fare il mozzo o il cameriere. Anzi sarebbero facilmente giunte lo occasioni per un delitto e quando mi viene la frenesia non posso trattenermi» .
Alla fine «nel maggio del 1941, con una sentenza della Corte Suprema che confermava quella della Corte di Appello di Genova, si chiudevano alle spalle di Giorgio William Vizzardelli le porte dell’ergastolo» .
Lo psichiatra Aldo Franchini seguirà il Vizzardelli anche durante la fase penitenziaria e, nella perizia psichiatrica condotta sul paziente fino al 1948, si percepiscono notevoli miglioramenti nella sua personalità che aumentano sensibilmente anche nella fase di monitaroggio successiva, ovvero il periodo 1949-1961.
Evoluzioni sorprendenti riguardano la sfera emotiva: «si è avuto un indubbio movimento nella sfera emotivo-affettiva […]. Se alcuni sentimenti sono tuttora torpidi e inespressi, altri si sono gradualmente affermati nel volgere della età evolutiva, quali ad esempio quelli familiari che hanno assunto un notevole dinamismo» . A questo si aggiunge, ed è la cosa più notevole, «una formidabile aspirazione all’elemento spirituale attraverso lo studio più impegnativo ed attraverso severe e dignitose norme di vita in circostanze assai difficili» .
A diciasette anni, quando fu arrestato, Vizzardelli era un ragazzo e si trovava ancora nel pieno del periodo evolutivo e formativo. Inoltre la scuola e lo studio per lui erano stati solo fattori di stress: non aveva mai avuto il minimo interesse intellettuale e uno dei suoi ricordi più intensi è legato alla «situazione di disagio angoscioso ed insostenibile che caratterizzava i suoi rapporti con la scuola» .
Franchini in seguito alla grande evoluzione della personalità del Vizzardelli azzarda la riflessione dell’opportunità di «togliere, per lo meno dalla legislazione minorile, la malsicura figurazione del delinquente per tendenza» . E arriva a pensare che il pluriomicida possa favorire di una riduzione di pena ed essere reintrodotto in società: «vi sono elementi che ci autorizzano a presumere che un giorno il Vizzardelli possa essere riconsegnato alla società senza la preoccupazione di aver rimesso in libertà un mostruoso criminale capace di riprendere la serie dei suoi delitti? Ebbene se otto anni or sono in piena coscienza avevo risposto decisamente no, oggi sento di aver perduto quella certezza e di dover accettare un criterio più riservato» .
Questa enorme trasformazione della sfera intellettuale ed emotiva del giovane carcerato risiede sicuramente nella normale evoluzione psichica conseguente all’avanzare dell’età anagrafica e al raggiungimento della maturità, ma per Vizzardelli c’è stato un altro importantissimo fattore che ha influito nel cambiamento, ovvero la passione per lo studio e per la conoscenza che ha fatto di lui un “uomo nuovo”: «[…] a me piace sempre di apprendere su qualsiasi argomento. Più l’uomo sa, più è potente» .
In carcere ha tenuto una condotta esemplare e dignitosa, cercando nella letteratura e nella filosofia i mezzi per arrivare ad una più completa compresione di se stesso e del mondo. Se da giovane aveva desiderato imbarcarsi per conoscere il mondo viaggiando, chiuso in carcere Vizzardelli trova nei libri e nello studio la strada per dare un senso alla sua vita:

Nella mia presente condizione posso conoscere la vita solo attraverso lo studio, la meditazione e la lettura, con l’analisi di me stesso e di quegli individui che ritengo più interessanti fra i compagni. E questo a me serve, oltre che per la conoscenza di me stesso, per acquistare la pace nell’anima, per prepararmi a morire e nello stesso tempo vivo la parte che la sorte mi ha assegnato in questa vita.

Nelle sue lettere cita filosofi e letterati come Nietzsche, Freud, Hugo, Rousseau, Byron, Marco Aurelio, Spinoza e molti altri. Si mette a studiare le lingue , impara l’inglese e legge Shakespeare in lingua originale stimandolo sia come scrittore che come filosofo e riflettendo spesso sui suoi personaggi, tra cui si identifica con Amleto. Incita la sorella a perseverare nello studio del pianoforte, parlandole delle gravi difficoltà che lui ha incontrato nello studio della lingua inglese e ricordandole un concetto Kipling: «Quel che altri hanno fatto posso farlo anch’io e se nessuno l’ha fatto mai prima di me lo farò io» .
Quando, nel 1943, viene trasferito all’isola di Pianosa, in una lettera traboccante di entusiasmo, scrive: «Sono tanto contento, cari genitori, perché qui ho tutta la comodità e la quiete per poter dedicarmi con maggior profitto allo studio, fonte di infinite soddisfazioni!» .
Nelle sue lettere alterna considerazioni sulla vita carceraria alla discussione di problemi assai impegnativi di natura filosofica, psicologia, estetica e religiosa. Capisce che nei libri c’è la sola vera strada per la salvezza:

Io cerco libri consistenti, che rischiarino la via al pensiero nelle tenebre in cui brancola, che mi favoriscano e facilitino la meditazione sempre più e mi aiutino a superare le varie crisi nelle ore di debolezza .

Lo stesso Franchini nell’analisi della personalità del carcerato riscontra uno sviluppo culturale e spirituale sorprendente : «Si potrà osservare che nei confronti del Vizzardelli la reclusione ha assunto un’efficacia emendativa, stimolando persino in lui il desiderio dell’elevamento spirituale attraverso lo studio» . Soprattutto, considerando il fatto che l’avversione e le difficoltà legate allo studio erano state, per il giovane Vizzardelli, alcune delle motivazioni che avevano giocato maggiormente nella dinamica dei reati.

Solo perdendo certe cose se ne impara a conoscere tutto il valore. Io prima ritenevo lo studio come una cosa di cui fosse preferibile fare a meno, adesso invece come una cosa di cui non si può fare a meno .

Chiudiamo con queste parole del Vizzardelli che rendono un’impeccabile testimonianza di quanta importanza l’amore per la cultura e per la conoscenza possono assumere nella vita di un carcerato. Attraverso i grandi autori e i grandi libri l’uomo può conoscere il mondo e se stesso anche attraverso le sbarre del carcere, arrivando a dare senso e dignità a un’esistenza in cui l’immaginazione e il pensiero sono le uniche realtà veramente tangibili.

Io credo di non aver sciupato il tempo, durante tutti questi anni, e la mia fortuna è stata di aver trovato, nei libri, gli educatori che mi occorrevano. Poiché il nostro intelletto – l’intelletto dei comuni mortali – è soltanto la lanterna che illumina la strada; ma la mente del genio è il sole che illumina il mondo .

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