Un istante di sperdutezza, un inizio

Giussani e Testori, il senso della nascita II.

Il senso della nascita, colloquio con Don Luigi Giussani, 1980, è il frutto di un incontro, scrive Giovanni Testori nell’incipit del volume. Giuseppe Frangi descrive così quell’incontro, in un articolo su “Trentagiorni” a dieci anni dalla morte di Testori.

Un’altra voce roca, e per di più lombarda, lo intercettò alla fine degli anni Settanta. Era quella di don Luigi Giussani. Si potrebbe quasi scommettere che in un primo istante, ancor prima di capire la grazia e la ragionevolezza di quell’incontro, Testori dovette essere stato quasi catturato per un’osmosi sonora. Come se avesse pensato: «Parole così, dette da una voce così, non potevano non essere vere».
      Non c’era ombra di intellettualismo dietro il passo che fece, con una contentezza che non gli si era mai vista in faccia, e che lo portava a divertirsi anche dello scandalo suscitato negli ambienti della cultura (…) Qualche altra volta descriveva quel suo momento con parole di una semplicità che lasciava un po’ interdetto l’interlocutore: «Mi sono sentito dipendente da Gesù Cristo, dal suo amore, dalla sua tenerezza». Un’altra volta, con la sua imprevedibilità linguistica, definì l’incontro con don Giussani un istante di sperdutezza; un inizio. E documentò quell’istante, meglio che in ogni altro testo, nel balbettìo commovente e insieme potente di un suo testo di quegli anni, Factum est.
      La categoria della “conversione” insomma gli suonava come un’astrazione, un coup de théâtre che poteva impressionare, ma irreale nella sostanza. C’erano immagini più dirette, più semplici, meno equivoche, per esprimere quel che gli era accaduto. «Hanno suonato alla mia porta dopo aver letto un mio articolo sul Corriere», raccontò. E l’insistenza non andava sull’eventuale coincidenza di idee o di posizione. Ma sul gesto, su quell’incontro, su quelle facce. E poi, soprattutto, su quella faccia e su quella voce roca di prete lombardo (…) Quando, poco prima della sua morte, portarono di nuovo in scena un suo testo giovanile, la Maria Brasca, due ragazzi gli recapitarono in ospedale un biglietto. «Come sapevate volervi bene ai vostri tempi», ci avevano scritto sopra. Lui si commosse. Ma poi disse: «In realtà ho visto che si può voler così bene anche oggi» (Giuseppe Frangi).

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