Torna di attualità questo articolo si Stanislao Nievo pubblicato alla fine degli anni Ottanta: uno studio sulla sofferenza delle balene è stato redatto da alcuni studiosi islandesi, ma non fatto stampare dalle autorità che, insieme al Giappone, hanno potenziato la caccia al cetaceo per scopi commericiali

Lacrime di balena

«Il regno delle balene è un affascinante dominio marino, dove la forma dell’esistenza, anche per mammiferi relativamente vicini alla nostra fisiologia, è diversa. Ma anche di qui, passa la qualità della vita. Dobbiamo cercare di renderla vicina e complementare alla nostra sulle terre emerse, e non limitare il mondo dei grandi animali marini ad essere fornitore di materia prima per il nostro benessere. La qualità della vita passa anche da qui. Qualche settimana fa c’è stata un’ordinanza da parte di autorità adeguate per fornire anche alle galline da uova uno spazio minimo vitale, perché la deposizione avvenga efficacemente ma anche “gallinescamente”, con minimo diritto ala vita. E per le balene no? Ma quanto soffre una balena quando viene uccisa coi sistemi elettrici attuali? Data la mole degli animali e le condizioni ambientali di caccia, quest’agonia si protrae per alcuni minuti interi, periodi di tempo d’immenso dolore, prima di schiantare il cuore della colossale vittima. Dato che si tratta di un mammifero dalla fisiologia comparabile in certi tratti alla nostra, è un evento finale della vita sopportato con sensibilità non molto dissimile da certe morti umane. Con l’aggiunta anche proporzionale, data la grande resistenza a condizioni di vita speciali e a pressioni e sforzi oceanici particolari, di un’estensione di pena come non se ne conosce altra in patologia. La resistenza della vita di fronte alla morte qui è somma. E sommo dev’essere il mutamento per una creatura in pieno vigore, portata improvvisamente e senza ledere organi da sfruttare in un’economia susseguente, onde causarne la morte. Le balene sono gli animali più grandi mai vissuti sul pianeta, più grandi nelle specie maggiori di dinosauri e d’ogni altra specie che abbia frequentato in qualche tempo più o meno remoto, la Terra. La carica biodinamica di queste grandi valvole dell’ecosistema degli oceani è un punto limite nella scala della sofferenza. Com’è misurabile allora il dolore di una balena colpita a morte? E’ una proposta di studio che si può seguire in differenti discipline, dalla filosofia al diritto, dalla medicina all’etologia. Che cosa succede in un organismo così grande mentre cerca di resistere alla sua eliminazione? La balena piange e nuota nelle onde piene delle sue lacrime. Torna in mente Moby Dick, ma allora la sfida era più in equilibrio, non c’era elettricità. Come si svolge ora questo episodio oceanico di crudeltà tecnica e in che scenario? Eccolo: su un mare straordinariamente azzurro o dai pochi squarci di luce, battuto da raffiche di vento teso, avanza la sagoma di una specie di grande torpediniera munita di sonar, ricognitore aereo, arpioni da elettrochoc e indicatori sofisticati, in attesa della scarica elettrica da inviare all’animale già arpionato. Il punto cruciale è che non si tratta di una scarica fatale all’istante, troppa distruzione di tessuti preziosi all’economia postuma ne deriverebbe. La carica si protrae per alcuni minuti, sollevando la soglia del dolore a massimi sconosciuti. E’ il grande dolore, forse il maggiore scientificamente catalogato. Sotto di esso deve cedere un cuore di 3-7 quintali (a seconda della specie), un cuore che pompa sangue nelle arterie sottoposte a volte a immersioni di 50 e più atmosfere, un organo straordinario. L’animale si dibatte soffrendo spasmodicamente. E’ una scarica di vari kilowatt, a basso amperaggio. La balena moribonda cerca d’immergersi, poi bisognosa d’aria per recuperare energia, torna a galla. Lo sforzo spesso non è immediatamente fatale, l’agonia va avanti. Il cetaceo trascina il tenebroso cordone che l’avvelena elettricamente. I muscoli si ribellano, coda e pinne sono furiosamente squassate, l’acqua attorno è sconvolta, le onde mutano corso. Fiotti di mare e di sangue vaporizzano nell’aria solitamente ghiaccia, innalzano vessilli di morte sull’oceano. L’ago elettrico continua a lavorare nel corpo della balena. L’ultimo fiume di sangue attraversa in un estremo tentativo di rigenerazione l’immenso animale. Il dolore sale al cervello, offeso nella sua direzione di vita».

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