Misurato e circondato da ottimi attori (dissento solo per la scelta registica di una Matilde nevrotica, dove, mi sembra, sia molto lucida e consapevole, la vera dominatrice, avendo capito il valore dello sguardo di Enrico, la sua umanità più vera, perciò perseguitata) brilla l’Enrico IV di Branciaroli al Paroli di Roma, venerdì 20 pieno di ragazzi. Parte del ricavato e vendita dopo lo spettacolo a favore delle iniziative di solidarietà in Africa dell’AVSi, motivo in più per andare a teatro.

Perché forse a una promessa di quegli occhi si poteva credere

Matilde Càpita, tra le tante disgrazie a noi donne, caro dottore, di vederci davanti,
ogni tanto, due occhi che ci guardano con una
contenuta, intensa promessa di sentimento duraturo!
Scoppia a ridere stridulamente. Niente di più buffo. Se
gli uomini si vedessero con quel «duraturo» nello sguardo…
– Ne ho riso sempre cosi! E allora, più che mai. –
Ma debbo fare una confessione: posso farla, adesso
dopo venti e più anni. – Quando risi così di lui, fu anche
per paura. Perché forse a una promessa di quegli occhi
si poteva credere. Ma sarebbe stato pericolosissimo.
Dottore (con vivo interesse, concentrandosi). Ecco,
ecco, questo – questo m’interesserebbe molto di sapere. –
Pericolosissimo?
Matilde (con leggerezza) Appunto perché non era
come gli altri! E dato che anch’io… sì, via, sono…sono
un po’ così… più d’un po’, per dire la verità… cerca una
parola modesta insofferente, ecco, insofferente di tutto
quanto è compassato e così afoso! – Ma ero allora troppo
giovane, capite? e donna: dovevo rodere il freno. – Ci
sarebbe voluto un coraggio, che non mi sentii di avere. –
Risi anche di lui. Con rimorso, anzi con un vero dispetto
contro me stessa, poi, perché vidi che il mio riso si confondeva
con quello di tutti gli altri – sciocchi – che si facevano
beffe di lui.

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