La poesia di Rocco Auciello è legata alla sua presenza fisica. Ora che è salito al cielo, da un anno, il 25 marzo del 2014, le sue poesie e tante testimonianze offrono la percezione della natura concreta, di avvenimento, che portava l’incontro con lui, in particolare negli ultimi anni.
Abbiamo dedicato alla poesia di Rocco il numero di marzo dell’inserto mensile Mosaico italiano, da cui ho tratto, nel penultimo post, il bellissimo racconto di una esperienza di Gianni Dessì. Pubblico nel post l’intervento di Paolo Mattei.

Il vento in Paradiso. La poesia di Rocco Auciello

«Che ne sarà del vento in Paradiso. / Il vento che riporta la memoria, / che ne sarà, del vento, in Paradiso?» (Carlo Betocchi, “A Emilia”)

Ogni volta che m’imbatto nelle poesie di Rocco Auciello mi viene in mente un passo di Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle, quello in cui l’autore, Charles Péguy, parlando di Victor Hugo, scrive: «Egli non vedeva il mondo con uno sguardo abituato […]. Tutto il problema di un genio è proprio qui, […] guadagnare, acquisire mestiere, mio Dio sì, ma soprattutto, ma essenzialmente non perdere in stupore e in novità, non perdere questo fiore, se possibile non perdere un atomo di stupore. È il primo che conta. È lo stupore che conta […]. Il vecchio Hugo, amico mio, vedeva il mondo come se fosse stato appena fatto».

Ecco, i versi di Rocco mi paiono l’opera fortunata di un poeta bambino (è sempre Péguy a introdurre il paragone, specificando che «è certamente il genio che bisogna riferire al bambino, e non è affatto il bambino che bisogna riferire al genio»), versi che sbocciano da uno sguardo sul mondo non “abituato”, uno sguardo che non ha “perso in stupore e novità”, non ha perso “questo fiore”. La sua poesia nomina le cose viste per la prima volta da un bambino che impara a parlare.

Lo scrittore francese conclude così le proprie osservazioni sul fare artistico: «Il genio è un’armata in guardia, non sovraccarica del suo treno di memoria e di invecchiamento. Un’armata leggera, un’armata di fanteria leggera».

La metafora bellica non si attaglia per niente alla personalità e alla poetica di Rocco. Ma quella della leggerezza sì. Fu lui stesso a raccontarmi di una breve conversazione che gli era capitato di tenere con un giovane amico scrittore di poesie. Quel ragazzo, mi spiegava Rocco, era un discreto frequentatore di illustri opere poetiche e le sue composizioni riecheggiavano stilisticamente i grandi autori cui si andava abbeverando nel momento in cui le realizzava. Redigeva versi ponderosi, nei quali la scabrezza soverchiava l’essenzialità, e ogni parola oberata di sensi ulteriori sembrava voler spasmodicamente suggerire rimandi complessi ed esoterici a mondi accessibili solo a pochi eletti. Rocco, al quale il giovane poeta aveva chiesto un’opinione sulle proprie elaborazioni, non poteva amare quell’artiglieria pesante di metri e ritmi, ma, come sempre, senza perdere in sincerità, fu delicato nel comunicarglielo. Gli suggerì di “dimenticare a terra le valigie” ogniqualvolta si accingesse a scrivere. Mi colpì molto l’immagine delle valigie. Il poeta non è uno che, stando fermo, guarda gli altri viaggiare. Il poeta sa di essere in viaggio come tutti. E ogni tanto, come tutti, si deve riposare. La differenza è che, magari, non lo fa quando lo detta la tabella di marcia ufficiale e non si ferma nelle grandi aree di sosta attrezzate, ma considera altri scali poco frequentati, fa tappe particolari, si prende pause misteriose, spesso misteriose anche per sé stesso. E, soprattutto, nel momento in cui posa, sa dimenticare a terra le proprie valigie colme di mestiere, tecnica, erudizione: «… andiamo! Il resto è bagaglio in dogana» (La poesia sarà nelle strade, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2006, poesia n. 66).

La poesia di Rocco è “leggera” in tal senso: non è, per dirla ancora con Péguy, «sovraccarica del suo treno di memoria e di invecchiamento». Ha la fortunata e trasparente leggerezza del vento che passa attraverso le cose.

“Vento” è una delle parole più ricorrenti nel lessico lirico di Rocco. Nella citata silloge La poesia sarà nelle strade esso spira continuamente. «Abbiamo parole / come soffi di vento» (19): ecco la poesia di Rocco che descrive sé stessa. Le parole del poeta, le «virgole di venti» (91), alitano lievi tra le cose, le nominano, le accarezzano, le muovono appena come il bisbiglio di una brezza leggera tra foglie e fili d’erba. Le parole del poeta in viaggio soffiano tra «i vari gradi dell’esistere: / alberi, sassi, foglie, / terra, cielo, mare, / fiumi, monti, colline, uomini» (95). Talvolta sanno graziosamente toccare lo scordato strumento del cuore – il cuore che «ha bisogno / di vento / che scompigli / le pagine» (49) – e sanno giocare con quello del poeta: «Il mio cuore bambino / scherza ancora / col vento» (43).

Poesia di stupore creaturale, viaggio e brezza leggera. Poesia come «augurio / da un vento amico» (243).
(Paolo Mattei, Mosaico italiano, Marzo 2015)

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