Il bellissimo libro a cura di Elena Zizioli e Antonella Cristofaro, in uscita per Universitalia, Il Sole e le Stelle nel Nido di Rebibbia, è stato donato al Papa. Questa è una favola rom

La pepita più bella (dalle favole della mamme detenute di Rebibbia)

C’era una volta, non tanto tempo fa, una bambina molto povera e ingenua che, insieme alla sua numerosa famiglia, viveva nella periferia di Roma.
Un giorno, era il primo giorno di un anno del secondo millennio, la ragazzina si avviò con il papà e con il fratellino verso la città.
Quel primo gennaio faceva freddo e Roma tardava a svegliarsi. La notte di festa l’aveva messa a ferro e fuoco; la città pareva una tovaglia sgualcita ancora piena dei resti di un banchetto abbandonato in tutta fretta, nella notte fonda.
Un cielo terso lasciava al sole mattutino la possibilità di illuminare le strade e i vicoli, le piazze e i cortili echeggianti del silenzio tipico della festa finita. L’acqua delle fontane lo interrompeva, un chiacchiericcio di sillabe in successione, il gorgoglìo dei mille anni trascorsi che già parlavano, con la lingua del “ sempre”, al nuovo millennio.
La bambina, una piccola rom bosniaca, camminava, camminava e la sua mano era stretta in quella del fratellino. È una storia narrata da una lingua che parlava di ricordi di guerra, di cieli e di uccelli, di fame, di sarme , di furti e di rifiuti preziosi.
La bimba si guardava attorno; cercava un giocattolo abbandonato dai bambini più ricchi nei secchi dell’immondizia. Lo cercava come si cerca il tesoro in uno scrigno.
I cercatori d’oro dell’Alabama con i setacci tra le mani, trascorrevano le ore a frugare nell’acqua dei fiumi; anche per i rom la mitica età dell’oro non è mai finta. Gli zingari cercano le pepite fra i cumoli di spazzatura abbandonati negli angoli delle nostre metropoli.
E le strade di Roma, quel giorno del primo di gennaio, sembravano fiumi carichi di sassi d’oro.
I due bimbi rovistavano, setacciavano, scartavano. Infine prendevano e riempivano un vecchio passeggino diventato carrello, di stracci, di piatti sbeccati, di altre stoviglierie e di soprammobili vecchi.
Ad un certo punto un pacco sembrò la pepita più grossa. Un involucro bellissimo, tutto colorato e ancora perfettamente integro colpì l’attenzione della piccola.
La bimba si emozionò, chiamò il fratellino e il papà.
– Venite a vedere. C’è un giocattolo ancora nuovo; è rimasto incartato!-
Così lo prese in mano. Il pacco rimase per qualche istante nel grembo della ragazzina; i sensi accompagnarono il suo fremito di gioia per essere stata proprio lei a trovare il tesoro della città, a scovarlo in un angolo dimenticato della Regina Viarum.
L’Appia Antica si illuminò per il gran botto.
– Una mina! –
Gridò il padre che parlava ancora la lingua della guerra.
Era un petardo inesploso, una bomba non fatta brillare nella notte della battaglia di Capodanno.
Il botto fu tremendo. Colpì il volto e fece saltare la mano della ragazzina.
La bimba rimase a terra svenuta, la sua piccola manina era maciullata, i suoi occhi non guardavano più alcun tesoro.
La portarono in ospedale, le fecero molte operazioni sul volto, agli occhi. Tornò a vedere e a vedersi il viso allo specchio, era ancora bello! Ma la sua mano non c’era più.
Pensò che la sua vita sarebbe finita senza la mano destra. Era distrutta e piangeva.
Passarono alcuni anni e le sofferenze diminuirono. La bimba diventò una bella ragazza, si innamorò di un giovane e si sposò. La coppia diede alla luce cinque figli e l’amore che disponeva di tre mani assegnò a loro la pepita più bella: la felicità.

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