Come ho ricordato a suo tempo. il brillante filosofo Guido Zingar, collega di università a Tor Vergata,i muore sotto le macerie del terremoto dell’Aquila, il 6 aprile del 2009. Lo ricordo con affetto con questo breve articolo sul suo libro pasoliniano.

Per Guido Zingari:la morte, gli spazzini di Roma e l’ontologia del rifiuto

Bellissima e profetica questa riflessione sulla morte, regalata su un bigliettino fuggente da Guido Zingari. Se cliccate sul foglio appare più leggibile.

La poesia, perfino l’ontologia del rifiuto. In un connubio difficile, ma autentico, suggerito dal gioco delle parole, dal verbo al sostantivo: rifiuto, inteso come immondizia da cui liberarci, ma anche colui che è allontanata dalla società, oppure è ultimo, rinnegato da essa, e il rifiutarsi, come gesto di ribellione e disobbedienza a regole ingiuste, imposte dalle leggi globalizzate del consumismo. Il verbo, l’azione, la protesta, fa leva sul sostantivo e gli emarginati diventano il motivo, la passione per cui si deve innalzare la voce della poesia, della cultura, del pensiero filosofico che voglia inserirsi nel tessuto sociale denunciandone gli squilibri feroci.

Trova questo coraggio Guido Zingari, in uno tra i più belli tra i suoi numerosi libri, Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura, Le nubi edizioni, 2006.
Filosofo tra i più noti soprattutto nell’ambito degli studi del pensiero tedesco, esperto di Heidegger, capace di incursione nelle altre arti, oltre Pasolini anche ad esempio, Giordano Bruno, apprezzato docente universitario, dalla Sapienza a Tor Vergata, con una schiera di valenti allievi devoti, Guido Zingari, per un fatale destino, luminoso e tragico (se si pensa anche alla lunga malattia che aveva affrontato con estremo coraggio, perfino gioia) è rimasto vittima del terremoto d’Abruzzo del 6 aprile. Sua moglie, Paola Coira con la quale aveva trascorso qualche giorno il quella casa aquilana, molto raramente frequentata, è rimasta anch’essa ferita per fortuna in modo non grave.
Ricordo una sua espressione, mirabile, da un altro recente libro, del 2005, sempre per il medesimo editore, Il dono e l’Occidente. Conversazione su un gesto impiegabile: «Il dono è ciò che è sempre imprevedibile verso l’altro ed estraneo alla logica dello scambio interessato».
L’idea del rifiuto, nella visione di Zingari proprio colui che è estraneo alla logica dello scambio interessato, e del rifiutarsi, trova una straordinaria immagine, concreta e poetica allo stesso tempo, sulle tracce della Roma pasoliniana.
Già nel breve cortometraggio, sicuramente inscrivibile tra i suoi capolavori, Che cosa sono le nuvole? Pasolini rappresenta, in 22 minuti, l’intera esistenza, dalla nascita alla morte, sfiorando con leggerezza l’arpa composita delle passioni che l’attraversano: l’amore, la sensualità, la comicità, la battaglia, l’invidia, la gelosia, l’arte, il realismo, il sentimento popolare e quello dell’intellettuale coltissimo e ammiccante; proporre un visione psicanalitica (il Burattinaio), insieme all’idea picaresca della realtà, riuscendo a cogliere perfettamente tra i rifiuti e i rifiutati, il nocciolo vitale della questione umana, attraverso l’Otello di Shakespeare, recitato in un teatrino di periferia dai toccanti Totò, Jago e Ninetto Davoli, il Moro. Come tutti gli altri interpreti, sono burattini legati ai fili robusti di chi decreta quali dovranno essere gli emarginati e quali i favoriti nella società del consumo e del denaro. Troveranno un loro paradiso soltanto nel finale, nella discarica, tra i detriti e il cielo, nell’attimo prima della morte, o forse già dentro una metamorfosi dove il faccia a faccia con l’al di là potrebbe coincidere con il ritorno estatico alla natura Madre, nella creaturalità e nella meraviglia, con ancora viva la coscienza dell’ossimoro: la terrena e straziata esistenza dell’al di qua, rappresentata dalla discarica, luogo atroce e osceno: straziante e meravigliosa bellezza del creato.:
L’immondezzaio, in questo caso chiamato a rappresentare il destino, come si ricorderà, è uno splendido Domenico Modugno. Porta la vita (la splendida scena iniziale della nascita di Ninetto) e conduce alla “nuova vita”: attraverso il camminamento infernale dal teatrino, alla discarica, dove i burattini umani, distrutti dal pubblico inferocito dalla morte a tradimento di Desdemona, vengono gettati. E lo fa cantando un memorabile motivo tratto da Pasolini dalle parole del grande bardo, sull’amore fuggevole e intenso come un soffio, con la musica dello stesso Modugno: «Ch’io possa esser dannato
se non ti amo.
E se così non fosse
non capirei più niente.
Tutto il mio folle amore
lo soffia il cielo
lo soffia il cielo…così

Ah! Malerba soavemente delicata
di un profumo che dà gli spasimi!
Ah!ah! tu non fossi mai nata!
Tutto il mio folle amore
lo soffia il cielo
lo soffia il cielo…così

Il derubato che sorride
ruba qualcosa al ladro,
ma il derubato che piange
ruba qualcosa a se stesso.
Perciò io ti dico
finché sorriderò
tu non sarai perduta

Ma queste son parole
E non ho mai sentito
che un cuore affranto
si cura con l’udito.
Tutto il mio folle amore
lo soffia il cielo
lo soffia il cielo».
Commenta Guido Zingari, a pag 109:
«Caricati su un camion di rifiuti (!), vengono trasportati in una discarica e abbandonati. Distesi su una coltre di immondizia, estasiati contemplano il cielo. Il volto burlesco e verd’azzurro di Totò sogghigna tra smorfie e sberleffi. Ninetto incantato scopre d’improvviso le nuvole sopra di lui e i rifiuti. Ecco la rivelazione, commenta Totò, della “straziante e meravigliosa bellezza del creato”. Pasolini cresce e raccoglie , ancora una volta, la metafora e la simbolica del rifiuto, per parlare sempre di loro: i reietti, i rifiutati dal mondo, in una pantomima comica, allegra, gioiosa e grottesca. Essi vivono una vita e una realtà irreali, surreali e paradossali al di là del mondo».

Come i comici dell’arte, i grandi attori sono capaci di esprime corporalmente questa ribellione: fra i rifiuti e i rifiutati di tutti i tempi, Zingari ricorda i personaggi di Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stan Laurel e Oliver Hardy, gli ultime tre, non a caso, finiti in miseria economica. Nessuno vuole saperne di loro «della loro puerile ingenuità e delle loro imprese eroiche, ridicole e impossibili. I rifiutati muovono al riso, allo scherno e a un’incontenibile ilarità, mentre fingono di annegare in un mare di rifiuti».
E più ancora voglio qui ricordare, grazie al bellissimo libro di Zingari, la poeticità di un antico mestiere in Roma. Pasolini serve da guida, in versi poco conosciuti, inediti fino alla pubblicazione nel quarto volume di Bestemmia, Tutte le poesie, Garzanti editore (Gli Elefanti poesia, pag.1167-1168): dovevano far parte di un romanzo in vesri sull’immondezza e di un documentario sullo sciopero degli spazzini, purtroppo rimasti, nei dolorosi, frenetici, brevissimi anni Settanta del poeta, in stato di pura idea per un futuro mai arrivato, arrestatosi al 1975. Restano però emblematici, sotto il bel titolo Appunti per un romanzo sull’immondezza, riempiti dalla luce filosofica dello sguardo attento di Zingari, di una visione penetrante, inattuale nella sua pregnante attualità, sul mondo degli “umili”, dei lavoratori, magari quelli che compiono il loro rituale utilissimo di pulizia mentre per gli altri ancora non scocca l’orario della sveglia.
Ecco l’incipit:
«Vorrei dirvi di una giornata di sole / che splendette nell’Aprile del 1970 su Roma».
Gli scopini sono in borgata: tocca al poeta portare alla luce la grazia di cui si illumina quel lavoro: «Chi parla per noi si trova davanti ad un fatto inesprimibile, / ch’esser scopino è un gran mistero. / Nessuno sa né dove né quando / viene ‘sta vocazione».
Quello dello spazzino “romano” nelle parole di Pasolini diviene una vocazione pari a quella dell’infermiere o del medico, alle prese con la sporcizia, con la terra, magari chiamati, umilmente e generosamente a seppellire il corpicino di una povera gatta rimasta sotto una montagna di immondizia “L’Ordine degli Scopini” ricorda quello francescano, così amato da Pasolini: «ci rassomigliamo tutti come i frati. / il primo voto è quello del silenzio». Lo scopino non si lascia distrarre da niente, come uno che prega e il poeta ricalcata in latino l’inno a questi sacerdoti di umiltà, come già li aveva descritti, ma in ambito milanese, Carlo Emilio Gadda.

Quel 24 aprile è però giorno di sciopero degli spazzini, l’Ordine è entrato nella storia, scendendo dai muretti delle borgate, facendo cadere, secondo la tipica progressione del poemetto civile di Pasolini,ogni «separazione tra il Regno d’Ognigiorno e il Regno della Coscienza». Eppure «ciò che resta intatta è l’umiltà; / perché chi ebbe una vocazione vera / non conosce la violenza; e parla con grazia / anche dei propri diritti».
Finale toccante: nel quale, con ogni probabilità, Pasolini intende congiungere il diviso, spesso lacerato anche nella sua azione poetica: l’intellettuale che parla, il lavoratore che agisce. Per entrambi dovrebbe valere la profondità di questi versi finali, presupposto per una unione ancora oggi utopica. Il compito dello spazzino, scrive a pag. 88 Guido Zingari, per cui la vocazione al pensiero filosofico parla con grazia e decisione della non violenza e del ritorno alla profonda dignità umana. «è quello di restituire in incognito, con discrezione, diligenza e umiltà, nitore, pulizia e ordine nella grande città. Pasolini mostra qui una rinnovata e ricorrente attenzione per il significato dei rifiuti e delinea i tratti e i possibili elementi di un’estetica e di una poetica del rifiuto».
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