Ecco un bel post di Marialaura Simeone, beneventana, dottore di ricerca all’Università di Siena che ha ideato il laboratorio teatrale nel carcere di Volterra.

“E’ bello quando l’uomo riesce a trovare e cercare Poesia in un luogo di detenzione che io chiamo prigione

Ho còlto l’occasione di un Convegno interdisciplinare organizzato dalla Macro Area di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata, per trasformare l’esperienza al carcere in un possibile percorso di ricerca. Titolo e tema del Convegno: “Conflitti”. Una parola dalle molteplici interpretazioni che ha suggestionato gli studiosi degli ambiti disciplinari più diversi. Dalla Grande Guerra, di cui ricorre il centenario, ai conflitti moderni, al tòpos bellico come metafora di conflitti interiori, psicologici, amorosi, generazionali.

Il mio intervento, che qui spiegherò brevemente, ha raccontato come il “liminale” del carcere e il “liminoide” della performance teatrale servano a liberare – nel bene e nel male – i conflitti interiori e il conflitto con l’altro.

In carcere ci troviamo in un territorio liminale dove, a seguito dell’infrazione di una regola, i detenuti sono stati reclusi e da questo luogo di mezzo, separato dal mondo esterno, si presuppone debbano ritornare risanati secondo le fasi di cui parlava Arnold Van Gennep (Les rites de passage, 1909): rottura, crisi e riparazione. Il richiamo a Van Gennep non è casuale. Per raccontare la nostra esperienza ci viene in aiuto l’accezione di performance data da Victor Turner (The Anthropology of Performance, New York 1986). La performance costituisce una forma di “metacommento sociale” e cioè rappresenta “una storia che un gruppo racconta a sé stesso e su se stesso”. Quindi da una parte facilita la lettura della propria esperienza vissuta attraverso il rivivere l’esperienza stessa, dall’altra favorisce una riflessione critica sul reale permettendo di effettuare un’esplorazione all’interno dei simboli culturali “articolando e fornendo di significato i conflitti del presente”. Con questo laboratorio i detenuti stanno giocando con i simboli della loro cultura, con gli elementi della loro quotidianità, per trasformarli. Il gruppo di detenuti è stato chiamato a recitare un copione ridotto da alcune commedie di Raffaele Viviani. I personaggi del teatro vivianeo condividono con la maggior parte dei detenuti la lingua napoletana come modalità di espressione, ma soprattutto l’appartenenza a determinate categorie ai margini della società. Durante il laboratorio stiamo assistendo alle tre fasi di cui parla Turner, presenti nelle performance culturali e mutuate dal lavoro di Arnold Van Gennep: rottura, crisi e riparazione. Dalla prima fase di entusiasmo generalizzato e di aiuto reciproco si è passati alle piccoli infrazioni delle regole imposte, all’esplodere dei conflitti latenti tra i vari sé, tra l’essere di un tempo e il voler diventare altro e tra il sé e l’altro, dentro e fuori dal carcere. Esempi concreti sono stati riportati durante l’intervento.

Nella mia sessione mi sono trovata in ottima compagnia. Moderatori il Prof. Fabio Pierangeli, responsabile del progetto “Università in carcere con Teledidattica” realizzato in collaborazione tra Università di Tor Vergata e Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso di Roma, e la Prof.ssa Florinda Nardi, impegnata quale docente nello stesso progetto. Il Prof. Pierangeli è anche direttore della collana “Il vagabondo delle stelle” (letteratura e carcere) di Universitalia Editrice e curatore, tra le altre di “Afferrare le redini di una vita nuova”. Tra i relatori uno scambio proficuo ed interessante e, speriamo, foriero di futuri progetti insieme, l’ho avuto certamente con la dottoressa Luisa Di Bagno, che è intervenuta con la relazione “Conflitto e disarmo oltre le mura del carcere”. Anche lei impegnata nel progetto di collaborazione tra Roma Tor Vergata e Rebibbia e autrice nella raccolta “Afferrare le redini di una vita nuova”. Moltissimi gli stimoli, gli spunti, i punti di contatto tra la loro e la nostra esperienza, e spero che il Prof. Pierangeli e la Dott.ssa Di Bagno vogliano raccontarci presto il loro punto di vista su questo blog.

È con parole letterarie (in qualche modo autodedicate) che mi sembra doveroso chiudere, ora, questo post:

“E’ bello quando l’uomo riesce a trovare e cercare Poesia in un luogo di detenzione che io chiamo prigione. Siate benedetti Voi che riuscite a cantare la sacralità delle prigioni, pensate a quanti fiori di preghiera possono nascere dal vostro labbro, e che ci sono fiori bellissimi che vivono avvinghiati ad una sbarra. Forse qualcuno morirà dietro a questa sbarra ma comunque il dolore è una grande semina, e se non servirà a voi servirà alle nuove generazioni che dal Vostro dolore faranno nascere nuova letizia” [Alda Merini per le donne del laboratorio di teatro di San Vittore]

Marialaura Simeone

No Comments

Leave a Reply

Your email is never shared.Required fields are marked *