In preparazione delle tesi di dottorato e di saggi testoriani, ecco un bel commento sulla Monaca di Monza di Daniela Iuppa

Testori, Caravaggio, lo sguardo (bellissimo spunto di Daniela Iuppa)

Per Roberto Longhi, (…) Caravaggio, infatti, «non cerca più la forma dei corpi belli, ma trova la “forma delle ombre” che incidono sui corpi, belli o brutti che siano; ora per esprimerli e affermarli in luminosa evidenza momentanea, ora per negarli e confutarli nel gorgo dell’oscurità.» . L’ombra caravaggesca è sempre lì, non elemento da vincere e soggiogare, ma luogo sempre abitato; luogo di tutti, dei santi come delle prostitute (che possono diventare anche Madonne).

Luogo primordiale, nel quale indistintamente ci muoviamo, fino a quando un atto creativo (e creatore) d’amore non illumina un volto, desiderando che esso sia, che dal pantano d’ombre emerga nella sua individualità. Questo il valore dello splendido finale dell’opera del 1967, in cui la Monaca di Testori dopo tanto dibattere e contestare e ripercorrere i sentieri in cui si è svolta la sua vita, si chiede: «che luce posso presumere d’aver gettato su questo sfacelo di vite?» , aprendosi all’ultima invocazione a Cristo: «Punta i tuoi occhi su questo stracci che ti bestemmiano, su questo niente che ti reclama» . La luce creatrice non può venire dall’uomo, che, per quanto possa interrogarsi e agitarsi, riesce solo a costruire i suoi piccoli spazi di potere nell’oscurità. Da questa consapevolezza si innalza l’invocazione del puntare gli occhi, affinché le cose vivano sotto la luce, sotto uno sguardo di amoroso riconoscimento.

Si pensi allo stesso concetto espresso in modo sublime da Cesare Pavese nel 1950 a qualche mese dalla morte: «O luce,/chiarezza
lontana, respiro/affannoso, rivolgi gli occhi/immobili e chiari su noi./È buio il mattino che passa/senza la luce dei tuoi occhi.», (Daniela Iuppa)

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