Da Piccole Note di Davide Malacaria. Nella casualità di spunti e letture parallele, il discorso di Papa Francesco abbraccia la spietata autoanalisi del peccato dell’ultima parte della ispirazione di Elsa Morante (Aracoeli in particolare, vedi post precedente).

La fragilità non è un limite paralizzante, porta a chiedere aiuto

La fragilità non è un limite paralizzante, porta a chiedere aiuto. E si chiede aiuto con la preghiera. «È bella quella preghiera: “Signore io so che nella mia debolezza nulla posso senza il tuo aiuto”», ha proseguito Francesco, il quale ha ricordato che la preghiera non è fatta di un profluvio di parole, come ha ammonito Gesù nel Vangelo quando ha spiegato ai suoi di «non sprecare parole come i pagani»,

E a questo proposito ha ricordato come esemplare la preghiera della madre di Samuele al Tempio, la quale pregava con «dolore davanti a Dio: soltanto muoveva le labbra perché non riusciva a parlare, chiedeva un figlio […] Si prega così davanti a Dio, che è buono e sa tutto su di noi e sa le cose di cui noi abbiamo bisogno».

Ma «c’è una condizione per pregare bene, che Gesù riprende proprio dalla preghiera che insegna ai suoi discepoli», ovvero occorre perdonare. Cosa difficile, alla quale in genere si oppongono obiezioni e giustificazioni. Ma Francesco ha ribadito la strada indicata da Gesù:«Perdona, perdona come lui ti perdonerà!».
Quindi ha concluso: Così la debolezza che noi abbiamo, con l’aiuto di Dio nella preghiera diviene fortezza, perché il perdono è una grande fortezza: bisogna essere forti per perdonare, ma questa fortezza è una grazia che noi dobbiamo ricevere dal Signore».

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