Mi capita di rivedere anche appunti di qualche anno fa su Testori illustratore delle Laudi di Iacopone, poco più che ventenne. Conservo gelosamente la copia n.107 di quel volume, pubblicato dalla mitica Gorlich di Milano nel 1945.

Testori e Iacopone da Todi: Iustizia sì è en amare

L’edizione delle Laudi illustrate da Giovanni (Gianni, come si firmava allora) Testori, esce per le edizioni Görlich nel 1945, con venti disegni originali. Giovane studente universitario, già conosciuto per alcune opere teatrali e disegni, tra cui le drammatiche Fucilazioni, ispirate ai versi di Giancarlo Pozzi.

Opere come Pietà (o Deposizione) di Cassinari e la Crocifissione di Guttuso influenzano Testori che scrive in «Argine», n.2 del marzo 1946.

Il primo fu Guttuso e parlò finalmente di questioni non isolatamente pittoriche, ma di forma in rapporto a una realtà. […] In quegli anni ci fu una mostra memorabile: il IV Premio Bergamo. Guttuso esponeva la famosa Crocefissione, Cassinari la Pietà e Morlotti una grande tela dove, nonostante il colore ancora tonale, era evidente la volontà di stringere nel quadro una realtà, un’emozione. […] La macchina di quella Crocefissione teneva insieme un dramma, non era più il colloquio dell’uomo piegato su di sé, o sulle piccole egoistiche impressioni […] i verdi della Pietà di Cassinari annunciavano finalmente che anche il colore può essere sangue e prato, occhi e capelli, gioia e dolore. Mentre le ferme statue di Morlotti dicevano che la realtà è anzitutto una cosa concreta e sulla tela, eterna».

L’altro grande magister di questa stagione, che influenza anche alcuni disegni precedenti alle Laudi è Matisse, su cui, sempre con Gorlich, pubblica un saggio nel 1943. I disegni delle Laude sono la sintesi di questo periodo tra sinuosità matissiana e la fermezza plastica di Picasso, in particolare quella Guernica che ispira il celebre manifesto del realismo pittorico. Una edizione di pregio, quaranta copie numerate contenenti ognuna un disegno in originale di Testori, altre quattrocentosessanta sempre numerate a formare le cinquecento della tiratura complessiva (posseggo gelosamente la 107).
Per Giancarlo Pozzi, la pittura per Testori di quegli anni non era lo scopo ma il mezzo estemporaneo per esprimere un grido doloroso d’aiuto nel tragico contesto storico (poi l’incontro con Longhi chiarirà la sua vocazione di critico d’arte). Anche l’illustrazione dei testi iacoponici «furono piuttosto la sublimazione gridata della sua viscerale partecipazione a quei testi, che penso siano rimasti il suo Vangelo interiore e un’ancora profetica per tutta la vita» (Testimonianza raccolta da R. PASTORE, nella tesi di laurea Giovanni Testori, La prima attività pittorica e critica (1941-1949), tesi di laurea conservata nell’archivio dell’Associazione Testori, discussa con il professore Luciano Caramel 1999-2000. Università Cattolica Milano).

Una scelta (senza indicazione di curatore che potrebbe essere lo stesso Testori) di quindici Laude per venti disegni, per lo più Pietà e Crocifissioni, in queste ultime il segno è semplificato al massimo «sino ad arrivare ad alcune in cui le linee perpendicolari del Crocifisso sono solo accennate ed espresse attraverso dei veri e propri arabeschi. Anche nelle altre illustrazioni è chiara la volontà di accennare appena alle forme e ai piani delle immagini, alla maniera cubista, ma con una forte carica oltre che drammatica anche sensuale» (Rossana Pastore, Giovanni Testori, La prima attività pittorica e critica 1941-1949).
Con tratto semplice ed incisivo, Testori segue da vicino, senza enfasi, tutte le fasi del cammino iacoponico, dalla predilezione verso Maria, al realismo della condizione umana, alla lontananza atroce da Dio del peccatore per cui è meglio la lebbra o altre malattie corporali, all’inno del perdono, alla lotta con l’Anticristo, con i papi lussuriosi e strozzini, alla gioia, finalmente, dell’amore, raffigurando l’anima sempre come persona sensibile, determinata da azioni concrete. L’antologia sembra muoversi argutamente nelle dialettiche iacoponiche, presentando, spesso in sequenza, la luce del giubilo o dell’amore divino con l’inferno della condizione di ribellione del peccato o di azioni malvagie contro la natura.

[…]

La figura crocefissa nel decimo e nei due ultimi disegni, in posizione dunque marcata e rilevante, a metà e a conclusione, si accompagnano ad altre due figure, a formare un gruppo, come nelle laude drammatiche e teatrali del tuderte, tra cui il notissimo Pianto della Madonna sottoposto a moderno «stupro» dalla furia verbale del Testori di quarantacinque anni dopo e qui presentato in chiusura, a esprimere una predilezione, per altro vastamente condivisa, per un capolavoro assoluto della laude e del teatro medievale. Dalla slogatura delle linee che tendono verso Cristo con la testa reclinata della figura di mezzo, il terzetto dei due disegni conclusivi, sotto i piedi della Croce, urlano in modo deciso, in un climax ascensionale netto, alludendo, forse, alla straziante necessità del dolore per uscire dalla crisi voluta dalla luciferina lussuriosa brama di potere e ricchezza dell’uomo. Si deve passare anche dal perdono, come la scelta antologica dalle Laudi richiama, tra l’altro anche nella impaginazione ponendo accanto al disegno decimo la laude Amor dolce senza pare (Como l’anima dimanda perdonanza de l’offensione e gusto d’amore).
Sarà possibile perdonare, dopo che lo strazio di quell’urlo ha girato l’Europa insanguinata?
Un domanda che ha attraversato il pensiero filosofico e quello artistico del dopoguerra e torna a riproporsi, con atroce puntualità, nelle molteplici guerre contemporanee, per le quali i moniti di Iacopone alla considerazione creaturale della vita (per credenti e non) sono attuali ed eterni.
Le Laude (30 e 59, ad esempio) più incollerite con la turpe e insanguinata superbia umana terminano con la possibilità di una conversione (un ritorno a Cristo per la fede di Iacopone) una ripresa di coscienza e dignità umana (anche in termini laici) che auspichiamo, con la sentenza del tuderte: «Iustizia sì è en amare / e messo i è te ‘n man en transatto, / e nullo volisti far patto».

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