Santa Lucia il violino dei poveri
e’ una barca sfondata e un ragazzino
al secondo piano che canta ride e stona
perche’ vada lontano fa che gli sia dolce
anche la pioggia nelle scarpe, anche la solitudine.

–F. De Gregori

Santa Lucia

Una grossolana eppure sublime poesia nasceva dalle mani di artigiani avvezzi a costruire tutto quanto era “umilissimamente e brutalissimamente” necessario alla vita. Allo stesso modo, nel legno aveva preso vita quella dolce, commovente, “dialettalissima” Santa Lucia dalla quale anche Gaudenzio Ferrari avrebbe attinto, prima di aprire il suo cuore di valligiano al mondo. Così ne scriveva Testori:

questa specie di serva di Dio e della Valle, impastata di polenta e di povera, quasi demente santità […] Che essa porti, poi, le proprie pupille infilzate come su d’un ago da calza, quasi fossero due cipolle, due patate da lei stessa raccolte poco prima dentro le grame zolle dei campi, o due castagne ottobrine, è segno d’una tangibilità di fede che tocca il limite della commestibilità quotidiana; che, anzi, alla commestibilità quotidiana (per l’appunto, quella dei pochi cibi da mettere sotto i denti) completamente si fonde; da formare, ecco una cosa sola. La qualcosa potrebbe anche essere metafora dimessissima, rozza e cascinale, quasi da camino, e, comunque, teologicamente inconsapevole (ma non per questo meno vigente), dell’Eucarestia.

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