L’evento al teatro di Rebibbia Nuovo Complesso, sabato 13 mattina. Parlano gli studenti di Tor Vergata detenuti a Rebibbia, poi il dibatttito

Il Carcere: da università del crimine a officina di riparazione della Persona

Spunti dagli interventi degli studenti di Rebibbia

Per troppi anni il carcere è servito soltanto a fungere da deterrente nei confronti di pochi e a favorire un cambiamento negativo nei confronti di tanti. Comunemente il carcere veniva definito, e in tanti ancora lo fanno, “l’università del crimine”.

È fondamentale il nuovo e positivo percorso della persona attraverso atti comportamenti e fatti successivi al giudicato penale. Questo servirà per uscire dalla “cultura della stagnazione del proprio pensiero verso l’altro”.

Lo studio stimola nuove percezioni della realtà e la sua trasmissione diventa un obbligo.

L’Arte. L’arte in genere interpreta, racconta, si mette a confronto e trasforma. All’interno di un carcere, essa, crea nuovi modi per esprimersi e prova a non passare inosservata, ma soprattutto, come ogni tipo di cultura, ha bisogno di essere divulgata agli altri.

Culturalmente forte è il rapporto tra il condannato e il suo educatore, ma a patto che quest’ultimo metta a confronto la sua cultura con quella nuova che nel reo va formandosi grazie allo studio, all’arte appunto e anche al lavoro.

Una cultura giuridica che non distingue tra condannato e colpevole, che cultura è? Lo studio della giurisprudenza anche quando non appartiene a un luminare ti fa cogliere la differenza tra questi due “stati” che non sono solo di natura linguistica, ma anche culturale.

Il carcere, infine, anche senza volerlo inaridisce i sentimenti umani nobili. Secca il cuore dell’uomo e allontanandolo dall’affetto dei suoi cari lo deprime. La cultura rallenta questo ciclo dannato. Un carcere senza cultura è destinato al peggiore dei fallimenti.

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