Il bellissimo resoconto di Alessandro Banfi, News TgcomMediaset sull’incontro del 13 a Rebibbia (vedi post precedente)

La cultura rende liberi, verrebbe da dire rovesciando il senso del beffardo e mostruoso motto che campeggiava ad Auschwitz e Dachau

Si può “riparare” una persona? E il carcere, da “università del crimine” può diventare un’officina di questa particolare forma di riparazione? Proprio partendo da queste domande c’è stato un grande dibattito sabato scorso nel Teatro della Casa Circondariale di Rebibbia a Roma, dove sono intervenuti esperti, professori e anche detenuti studenti. L’intensa mattinata, organizzata dall’Università di Tor Vergata ha in qualche modo celebrato i corsi universitari nel carcere romano iniziati con la teledidattica dieci anni orsono.

Si può “riparare” una persona?
Sono infatti ormai numerosi i carcerati studenti (soprattutto di lunga detenzione) che hanno preso la laurea rimanendo dietro le sbarre, anche grazie ai tanti volontari, tutor e professori di Tor Vergata, che sono entrati apposta a Rebibbia per questa “missione”. Motori dell’iniziativa di sabato sono stati il professor Fabio Pierangeli, che insegna Lettere, citato come “maestro” in più di un intervento, la professoressa Marina Formica, titolare di Storia, lo stesso Rettore di Roma 2, Giuseppe Novelli, che hanno raccontato l’importanza didattica e sociale di questa collaborazione decennale. Gli onori di casa sono stati fatti dal Direttore della Casa circondariale Mauro Mariani, che ha introdotto sottolineando il valore delle tante attività culturali e teatrali in cui Rebibbia è stata protagonista. Qui i fratelli Taviani hanno trovato gli “attori” detenuti del film Cesare deve morire, che tanti riconoscimenti di critica e pubblico ha ricevuto. Un grande film frutto di un laboratorio teatrale sui generis.

La cultura rende liberi, verrebbe da dire rovesciando il senso del beffardo e mostruoso motto che campeggiava ad Auschwitz e Dachau, luoghi di annientamento assoluto della persona. Qui invece si gioca una partita importante sulla dignità e, appunto, sulla “riparazione” dell’individuo, intesa come occasione in cui la cultura riscatta e amplia la prospettiva stessa dell’individuo. Come ha ben spiegato il professor Mauro Palma, pochi giorni fa nominato da Mattarella Garante nazionale dei detenuti, in un primo tempo si può dire, con Codorcet, che “l’istruzione rende indocili e difficili da gestire”, ma che allo stesso tempo aumenta, in chi debba scontare la pena, la responsabilità, la consapevolezza, offre davvero più chance. Offre un percorso.

Molti e toccanti i discorsi dei detenuti studenti. Uno di loro ormai non più giovanissimo, Giovanni, 5 figli, ha detto che la cultura gli “ha dato una diversa percezione della realtà”. E che gli ha fatto sentire fortissima la necessità di studio e istruzione anche per i propri figli. Un altro detenuto: “La cultura mi è servita per capire il valore dell’altro”. Un professore di Arte Moderna, Giovan Battista Fidanza, ha confessato di essere colpito dal paragone con gli altri studenti di Tor Vergata. “Non ho mai regalato un voto e questi detenuti sono spesso preparati da 30 e lode. Altro che nozionismo”. E ha concluso: “Mi ha dato tanta soddisfazione insegnare qui”. Un detenuto, con accenti poetici: “Il carcere secca il cuore dell’uomo. La cultura lo riaccende”.

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