L’immagine, forse non molto pertinente, o forse sì, è quella che campeggia ala stazione metro di Rebibbia, dell’ormai famoso fumettista Zero Calcare che abita in zona. La mostra di pittura dal laboratorio della Casa Circondariale di Rebibbia resterà nei corridoi del primo piano di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata fino a venerdì pomeiggio

Il Laboratorio di pittura del carcere di Rebibbia espone a Tor Vergata (10-14 maggio)

Arte e cultura
di Pietro Lofaro

Per iniziativa di alcuni detenuti del reparto di alta sicurezza, dal primo luglio del 2015, è stato attivato in questo Istituto (CC di Rebibbia) un laboratorio di pittura; il progetto è nato, oltre che con l’intento di mettere in pratica una passione comune, con la finalità di raccogliere fondi da devolvere in beneficenza e autofinanziarsi.

graffito murales zerocalcare rebibbia

Fin da subito, il laboratorio ha riscosso un discreto interesse da parte della direzione e ci è stato affiancato un educatore che, insieme a noi, ha seguito i progressi e ci ha supportato nelle fasi evolutive.
Parlo non a caso di fasi evolutive. Il carcere, come la maggior parte della nostra società esterna, è formato di persone di diverse estrazioni sociali, culturali e regionali. Il laboratorio ci ha spronato a mettere a disposizione l’uno nell’altro le proprie conoscenze, i proprio vissuti e a trasformarli nel tempo, in disegni su tela. Attraverso la biblioteca di reparto ci siamo documentati sugli artisti, i generi, l’uso dei colori. Chi di noi aveva già una conoscenza sulla pittura e le tecniche pittoriche l’ha condivisa con il resto del gruppo e gli stessi che hanno messo a disposizione il loro bagaglio artistico, ne hanno beneficiato. È nato uno splendido processo creativo.
La difficoltà a reperire materiali, immagini nuove, colori, ci ha quasi obbligato a sperimentare, a ricercare modi differenti di dipingere e presentare una tela così come la si conosce. È stata proprio una condivisione a permettere tutto questo. L’arte è uno strumento di aggregazione, di conoscenza dell’altro, che non può restare confinata all’interno di quattro mura, ma va condivisa, per permettere di rigenerarsi e continuare a creare. A tale scopo, a dicembre 2015, abbiamo avuto il piacere di organizzare la nostra prima mostra, nello stesso laboratorio che fino ad ora ci ha permesso di portare avanti questo progetto. La mostra è stata allestita nel nostro reparto non a caso. Era giusto che le persone che ci hanno appoggiato e seguito fino a quel momento, fossero i primi ad aver contezza dei risultati raggiunti. Volevamo condividerlo con chi, come la direzione, la sorveglianza, l’educatrice, ha investito in noi, dedicando tempo e trovando spazi adatti ai nostri obiettivi. Poi i volontari, i professori, gli stessi detenuti, nostri compagni, che tutti i giorni hanno seguito, anche se da spettatori, i nostri progressi.

A questo punto mi chiedo: se un semplice laboratorio di pittura e tutta la cultura artistica, che di conseguenza si è venuta a creare attorno ad esso, è stata capace di avvicinare e far collaborare nei limiti del possibile detenuti e sorveglianti, operatori e volontari, perché non condividerlo? Non renderlo pubblico? In carcere, per cause che non dipendono sempre dalla nostra volontà, ma dalla burocrazie e dalla necessità, è tutto molto labile, effimero. La cultura creata può trasformarsi in cultura persa. Perché perdere l’occasione di testimoniare come, all’interno di un carcere, nuovi modi di investire il tempo e gli spazi, possano diventare, perché no, una fucina per artisti? E quanto possa essere pedagogico tutto questo?

A parer mio, l’immaginario collettivo ha un’idea incompleta e forse fuorviante del carcere. A causa del limitato accesso e della posa conoscenza di luoghi come questo, si creano degli stereotipi non sempre realistici.
Attraverso la condivisione di cultura, e in questo caso specifico, di cultura artistica, penso sia possibile abbattere alcuni cliché che si allontanano. L’arte è un processo creativo, che in carcere permette a noi di avere un’altra visione del mondo e a voi di farvi un’altra idea di noi, di come la cultura agisca e sia necessaria, forse maggiormente, all’interno di realtà come questa.

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