Al margine delle elezioni di domenica, spunta la bellezza di questo articolo di Eraldo Affinati dal Corriere della sera Roma di lunedì scorso

Alla ricerca del sindaco perduto nei sogni della Città dei ragazzi

Alla ricerca del sindaco perduto: potrebbe essere questo il senso del mio peregrinare nella capitale vuota, da un seggio all’altro, in una canicola quasi estiva, con tassi di affluenza alle urne abbastanza modesti, come se la maggioranza degli elettori, smarrita la fiducia in chi ci governa, avesse deciso di affidare le sorti dell’Urbe imperitura nelle mani del primo che capita. Fosse così, ma speriamo di no, nessuno potrebbe sottrarsi alla sconfitta, neppure il vincitore, al quale non resterebbe che raccogliere da terra i frantumi della democrazia.

città-interna-1024x682

È questa la ragione per cui torno alla Città dei Ragazzi, la comunità educativa romana fondata nel secondo dopoguerra da monsignor John Patrick Carroll-Abbing per accogliere i cosiddetti «minori non accompagnati», un tempo italiani, oggi immigrati. Piccoli avventurieri che, in questo momento, provengono soprattutto dall’Egitto e hanno bisogno di trovare un lavoro, imparare la nostra lingua e diventare adulti. Il sistema organizzativo della storica struttura è quello dell’autogoverno: esiste un sindaco, eletto dagli stessi giovani, che resta in carica solo due mesi, proprio per evitare le incrostazioni del potere, il quale a sua volta sceglie gli assessori alla finanza, allo sport, all’igiene.

Nella piazza principale vengo accolto dai vecchi amici che riconoscono in me il professore dei tempi trascorsi. Accanto a loro ci sono i nuovi arrivati: un’acqua che scorre. A noi sembra sempre uguale, invece cambia praticamente ogni settimana. In questa domenica di elezioni comunali il sindaco in carica, uno scugnizzo del Delta del Nilo, si è preso una vacanza: se ne sarà andato in giro a scorrazzare in qualche centro commerciale coi suoi compagni, elettrizzati dal mondo moderno. Moustafà, invece, è rimasto a casa: troppo caldo, mi confida. Detto da lui, cresciuto nella piana assolata prospiciente al Mar Rosso, fa una certa impressione: il ragazzetto sveglio e smilzo, che quando arrivò a Roma voleva fare lezione soltanto con me, sta diventando davvero italiano. Sembra già adulto, anche se ha solo diciassette anni e fra pochi giorni darà gli esami al Don Bosco per conseguire la qualifica di barista e cameriere. È stato sindaco della Città dei Ragazzi, proprio come l’indimenticabile Mohamed, ex-cittadino, meccanico esperto di rettifica motori, che ho la fortuna di incontrare nel Parlamento, vicino alla Banca e al Bazar.

Chiedo a entrambi cosa significò per loro il potere politico al tempo in cui vennero chiamati a esercitarlo dagli amici che li elessero. Moustafà risponde scegliendo le parole come se fossero dinamite: «Io sparato nel cuore» dice per comunicarmi l’emozione provata quando seppe di aver vinto. Mohamed racconta la gioia dello stare insieme facendo in modo che tutti rispettassero le regole. Semplice da affermare. Difficile da vivere. Quali erano i vostri compiti? Gli antichi leader, temprati dall’esperienza di chi ha dovuto gestire il consenso, mostrano le idee chiare. Dovevano convincere gli ultimi arrivati, Ivan dalla Moldavia, Omar dal Marocco, Ramin dal Bangladesh, Hafiz dall’Afghanistan, a non scappare via subito. Ci riuscivano soltanto se portavano come esempi se stessi: allora erano credibili. Spiegavano che alla Città dei Ragazzi tutti possono praticare la propria religione, senza rinunciare a ciò che sono, a patto che osservino i regolamenti della comunità in cui vivono. È il vortice dell’adolescenza. La lista dei buoni propositi. Quali consigli dareste al sindaco che verrà eletto? Moustafà, uscito a stento dal magma vischioso della realpolitik, detta le sue indicazioni: «Aiutare i poveri. Dare lavoro ai giovani. Parlare in faccia alle persone». Mohamed, fratello più grande svezzato con il latte dello spirito consociativo, scandisce senza tentennamenti il proprio credo: «Stare sempre coi ragazzi». Volevi intendere insieme ai cittadini, vero? Ma in fondo, che differenza fa?

No Comments

Leave a Reply

Your email is never shared.Required fields are marked *