Un bellissimo editoriale di Giuseppe Frangi su Vita di qualche anno fa e oggi L’eco di Bergamo. Ma si veda anche il servizio sul sito Tv2000 del 3 agosto

«Una donna che dove guarda, vede». Pasolini e Madre Teresa

Se la sfida è tutta nello sguardo
di Giuseppe Frangi 27 agosto 2010
Editoriale di “Vita”

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1963 Roma, Pierpaolo Pasolini nella sua abitazione con la madre Susanna Colussi

1963 Roma, Pierpaolo Pasolini nella sua abitazione con la madre Susanna Colussi

Nel gennaio 1961 Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia fecero un viaggio in India e ne trassero due diari che fotografano bene le differenze tra i due. Quello di Moravia si intitolava Un’idea dell’India, quello di Pasolini L’odore dell’India. Dal titolo del primo traspare l’ambizione di un intellettuale che cerca di inquadrare un fenomeno. Dall’altro si percepisce come preminente un impatto emotivo, quasi una fascinazione subìta. La differenza sostanziale tra i due sta nella reazione ad un incontro con una suora allora semisconosciuta che assisteva i lebbrosi a Calcutta. Moravia non ne fa cenno, Pasolini invece le dedica una pagina commossa. Nella sua semplicità la piccola suora, spiega Pasolini, affronta come può una piaga spaventosa dell’India di quegli anni: quella della lebbra. PPP resta colpito da quel suo «occhio dolce che, dove guarda, “vede”» e dalla «bontà senza aloni sentimentali, senza attese, tranquilla e tranquillizzante, potentemente pratica».
Di Madre Teresa e di quelle migliaia di donne che si sono messe sulla sua strada continuando e aggiornando la grande opera da lei iniziata, nel segno di una «bontà potentemente pratica», leggerete nelle prossime pagine. Qui ci interessa restare su questa duplicità di sguardo. Da una parte uno sguardo che non “vede”, quello di Moravia. E dall’altra uno sguardo che invece coglie qualcosa di inaspettato e se ne stupisce. E accetta anche di lasciarsi spiazzare. Quello di Pasolini. Da una parte un intellettuale che si nasconde abilmente dietro le sue pagine e le sue analisi; dall’altra un intellettuale che invece si lascia scoprire ogni volta nudo davanti alla realtà.
La cosa non riguarda ovviamente solo chi fa il mestiere di scrittore o di pensatore. La cosa riguarda la vita e l’intelligenza di noi tutti, nel modo con cui guardiamo al mondo malmesso che abbiamo davanti. Oggi è facile, quasi legittimo, rifugiarsi in un pessimismo davanti alle cose. Chiudersi nel guscio di un moralismo nutrito solo dalle nostre (opinabilissime) opinioni. L’aria che si respira sui giornali, nei talk show, persino nelle chiacchiere dei bar porta lì: ad arroccarci nel fatalismo davanti ad una realtà ritenuta incorreggibile.
E se invece provassimo a ribaltare la questione. A chiedere a noi e a tutti se il problema non stia tanto nella realtà quanto nel modo con cui noi si guarda alla realtà? «Stare di fronte alla realtà che ci è data, affrontarla. Osservare molto, per uscire dalle nostre ossessioni», raccomandava in una recente intervista un grande missionario del nostro tempo, padre Aldo Trento attivo in Paraguay. Anche dalle sue parole si deduce il valore dell’osservare. Dello sguardo. E ci ha colpito che sullo stesso punto, da strade ben diverse, sia arrivato un giovane scrittore di successo come Giorgio Vasta, di cui potrete leggere una bella intervista nelle prossime pagine. Dice Vasta: «Questa richiesta di una disponibilità dello sguardo nei confronti di tutto è per me un punto di partenza imprescindibile. A decidere di una scala di valori e della sua pregnanza è lo sguardo che le osserva, attraverso il quale si può scoprire che dentro una certa cosa, anche la più umile, sussiste una potenzialità probabilmente inespressa».

L’eco di Bergamo
3 settembre 2016

«Suor Teresa vive in una casetta non lontana dal centro della città, in uno sfatto vialone, roso dai monsoni e da una miseria che toglie il fiato». Erano i primi giorni del 1961, e Pier Paolo Pasolini era in viaggio in India, invitato insieme ad Alberto Moravia ed Elsa Morante, per le celebrazioni per il centenario del grande poeta nazionale Tagore. Allora Teresa aveva 50 anni, in pochi sapevano chi fosse e cosa stesse facendo. Anche in Italia nessuno aveva ancora parlato di lei. Arrivato a Calcutta Pasolini, mosso dalla curiosità, avendo sentito parlare di questa suora, aveva voluto conoscerla. Lei non era ancora “madre” ma semplicemente Suor Teresa. Aveva solo cinque o sei sorelle impegnate con lei nell’assistenza dei lebbrosi. A differenza dei suoi due compagni di viaggio, Pasolini ha un approccio diverso. Vuole vedere e toccare con mano, inoltrarsi nell’India profonda, mentre Moravia «con il suo meraviglioso igienismo», come scrive Pasolini, preferiva stare nelle hall degli alberghi lussuosi.

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Lui si definisce invece un «viaggiatore ineconomico», pronto a immergersi nell’India profonda. Ed è questo suo approccio che lo portò a bussare alle porte di quella suora albanese. Il resoconto molto sobrio di quel l’incontro oggi lo si può leggere nel bellissimo libro che Pasolini scrisse al ritorno, intitolato L’odore dell’India. Lo scrittore è colpito in generale dalla mitezza con cui gli indiani, di qualsiasi fede, accostano il tema religioso. «In India più che alla manutenzione di una religione, l’atmosfera è propizia a qualsiasi spirito religioso pratico», scrive. E Suor Teresa è proprio un campione di questo spirito pratico, anche se si occupa di una causa senza speranza: «Esse hanno un piccolo ospedale dove i lebbrosi vengono raccolti a morire».

Dell’incontro Pasolini non riferisce nessun dialogo. Ma le sue parole valgono più di ogni eventuale virgolettato. «Suor Teresa è una donna anziana (in realtà aveva solo 50 anni, come detto), bruna di pelle perché è albanese, alta, asciutta, con due mascelle quasi virili, e l’occhio dolce, che dove guarda, “vede”». Geniale osservazione quest’ultima, indice di una sensibilità come può essere solo quella di una grande scrittore. Un’osservazione che dice tutto del metodo di Teresa, capace di cogliere immediatamente nelle persone il bisogno. Pasolini poi aggiunge che la suora «assomiglia in modo impressionante a una famosa Sant’Anna di Michelangelo» (in realtà si confonde con Leonardo e la sant’Anna del celebre cartone conservato al Louvre). E poi continua: «Ha impressa la bontà vera, quella descritta da Proust nella vecchia serva Francesca: bontà senza aloni sentimentali, senza attese, tranquilla e tranquillizzante, potentemente pratica».

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Pasolini è profondamente colpito. Dice che di fronte all’immenso problema dei lebbrosi in India ha provato «vero impulso di odio contro Nehru e i suoi 100 collaboratori intellettuali educati a Cambridge». Invece Suor Teresa «cerca di fare qualcosa: come lei dice, solo le iniziative del suo tipo possono servire, perché cominciano dal nulla». Infine una bellissima osservazione generale che, letta oggi, fa pensare molto a papa Bergoglio: «Ho conosciuto dei religiosi cattolici: e devo dire che mai lo spirito di Cristo mi è parso così vivido e dolce; un trapianto splendidamente riuscito». Domani, là dove è, anche Pasolini gioirà per la canonizzazione si quella suora incontrata un giorno nell’inferno di Calcutta.

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