Un sonetto celebre di Michelangelo, tra le ultime liriche nelle quali, secondo Claudio Scarpati, come nella scultura delle ultime Pietà (si raffigura in Nicodemo) annulla i confini tra poesia e preghiera e l’una si converte nell’altra

Signor mie caro

Le favole del mondo m’hanno tolto
il tempo dato a contemplare Iddio,
né sol le grazie suo poste in oblio,
ma con lor, più che senza, a peccar volto.

Quel c’altri saggio, me fa cieco e stolto5
e tardi a riconoscer l’error mio;
manca la speme, e pur cresce il desio
che da te sia dal propio amor disciolto.

Ammezzami la strada c’al ciel sale,
Signor mie caro, e a quel mezzo solo10
salir m’è di bisogno la tuo ’ita.

Mettimi in odio quante ’l mondo vale
e quante suo bellezze onoro e colo,
c’anzi morte caparri eterna vita.

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