Qualcuno ha detto che io appartengo alla teologia negativa, quella della morte di Dio: morte nella coscienza dell’uomo, intendiamoci. C’è addirittura chi mi definisce ateo. Cosa falsa. Prima di tutto io non sopporto nessuna definizione.Le definizioni limitano. Non sono ateo, non sono credente, sono io. Poi ‘ateo’ mi dà fastidio. È una parola ottocentesca che mi fa venire in mente certi livornesi col sigaro toscano in bocca, la cravatta alla Lavalliére, i liberi pensatori. Tutte cose pittoresche che mi danno fastidio. Io pongo solo un limite alla ragione.Dico che la ragione umana compie miracoli, ma è destinata a imbattersi in un muro o arrivare a un ultimo borgo oltre il quale non ha accesso. L’uomo di fede fa presto: scavalca il muro, supera l’ultimo borgo, e beato lui. Ma il povero razionalista rimane interdetto: non dice però non c’è Dio, non c’è nulla. Anzi c’è un personaggio mio, l’’antimetafisicante’, che dice: ‘Un’idea mi frulla, / scema come una rosa. / Dopo di noi non c’è nulla. /Nemmeno il nulla, / che già sarebbe qualcosa’. E un altro personaggio, di rimando: ‘E allora, sai che ti dico io? / Che proprio dove non c’è nulla / – nemmeno il dove – c’è Dio’: Come mi si può definire ateo in questo senso?». Così Giorgio Caproni dialogando con Silvio Riolfo Marengo il 15 aprile 1986 a uno dei ‘Martedì letterari’ di Sanremo, presentando ancora in bozze alcune poesie del Conte di Kevenhüller.
Lo riporta Marco Roncalli su Avvenire del 23 agosto 2013, rimandando al numero corrente della rivista Resine di quell’anno, con documenti inediti e rari del poeta salito agli onori della cronaca grazie alla prova della maturità di italiano 2017
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