La poesia dell’avvenimento cristiano negli appunti di don Tommaso Latronico, sacerdote lucano.
Un grande amico, anche da lontano. Tra i pochi (con don Giacomo, Sara e Jasmin) che ha saputo spaccare i tratti di indifferenza ottusa del mio carattere

Carissimo don Tommaso

La vita non la decidiamo noi: non solo come seguito di giorni, ma come inizio nuovo di grazia.
«Stare, guardare, dire di sì»

tommaso

Nell’esperienza dell’uomo tutto passa e finisce. Soprattutto le cose belle (l’infanzia, l’amore…) sono destinate a finire nel rimpianto, nella nostalgia, e nel ricordo. C’è una sola esperienza che inizia e non finisce, e con il tempo cresce: è l’incontro con Cristo.

È unico perché inizia in modo inimmaginabile, imprevisto e interessante, ti corrisponde e poi – se si rimane, se lo si guarda – è destinato con il tempo a crescere: non sei tu che cresci; che anzi invecchi, sei fragile e pieno di peccati, ma è quell’avvenimento che cresce e, guardato attentamente, corrisponde, non censura, perdona.
L’unica condizione per essere cristiani è guardare a Cristo come si è fatto riconoscere.
Qui è tutta la differenza tra l’esperienza cristiana e le altre religioni: che il cristianesimo ti dice “guarda”.
Anche Giuda ha fatto un incontro vero («un giorno venne quest’uomo»), anche lui si è stupito di un accento unico, lo ha seguito, «ma poi passavano i giorni e il Regno suo non veniva».
Perché non veniva quel Regno?
Perché era già presente, era Lui presente; e invece in Giuda prevalevano immagini, pensieri, progetti. Non si stupiva più. Non si stupiva di Zaccheo, della Maddalena…
La differenza tra gli uomini non è allora tra chi è santo e chi è peccatore, ma tra coloro che Lo guardano e coloro che Lo tradiscono («con gli occhi scaltri a fuggire»).

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Alla nostra incapacità fondamentale (siamo niente) ed esistenziale (il peccato) ha risposto Dio.
A una incapacità vera, la risposta non è nostra. La nostra è una risposta alla Risposta.

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… E tutto inizia, tutto inizia portandoti altrove: un collegio (20 anni fa) o una clinica (oggi) e poi volti e parole e gesti che ti destano.

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«Un po’ di fortuna ci vuole nella vita»: mi ha salutato così il medico nella camera sterile della clinica e ora anche tu mi dici lo stesso. La mia fortuna, Fabio – un segreto che il tempo svela –, è Roma e una casa.

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«Oggi si sono compiute le cose promesse dall’angelo a Maria» (Antifona dell’Epifania).
La festa di oggi compie, è più importante della stessa nascita di Cristo. A che sarebbe valso che Dio si fosse fatto uomo, che avesse patito, fosse morto per noi… se non fosse incontrabile dall’uomo (dalle genti). Che sia incontrabile significa che diventi il contenuto della felicità presente. Se Natale parla di “grande gioia”, oggi si dice «provarono una grandissima gioia» (… gavisi sunt gaudio magno valde…).
Questo è il mistero di cui parla san Paolo: che questo fatto sia incontrabile dall’uomo normale, dal pagano che non ha né la fede né i comandamenti.
Che impressione! Basta un niente (preoccupazione, distrazione, salute) e non si è più nella posizione richiesta dalla memoria, non si domanda, non si comunica…
«L’unica gioia al mondo è ricominciare e questo è possibile solo se si è perdonati».
Un’altra tappa della malattia: il trapianto, altre visite, esami, reparti, medici, ammalati…
Continuo a chiedere alla Madonna che mi dia la salute e la fede. È così facile ripiegarsi, preoccuparsi. Mi meraviglio sempre di più di come abbia potuto fare con facilità questi tre mesi di terapia. «La Tua grazia Signore vale più della vita».

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«Maestro, dove abiti?». Nel cristianesimo è più importante il «dove abiti?» della stessa domanda: «Chi sei?», avevo sentito dire da Giussani a La Thuile ad agosto quando già avevo la malattia addosso senza saperlo.
Poi i fatti: la decisione di ricoverarmi a Roma decisa con Giacomo, la clinica, i cicli di cura, la compagnia davanti agli occhi, la casa di Casalbertone e di nuovo dentro la vita: il rapporto pieno di tenerezza di Giacomo con i ragazzi, il suo e il loro cambiamento, le cose di don Giussani (è sempre una grazia, la continuità è data sempre da un nuovo inizio…).
Perché smarrirmi allora, se non si comprende, ma è tanto reale?
«La vita non la decidiamo noi», mi ha scritto Fabio.
La vita non la decidiamo noi: non solo come seguito di giorni, ma come inizio nuovo di grazia.
«Stare, guardare, dire di sì».
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Dopo venti anni mi portano dove non vorrei, nei luoghi dove tutto è cominciato e dove tu rimani.
C’è una sola esperienza che col tempo cresce mentre le altre più belle si allontanano. Non mi aspettavo da vecchio di stupirmi quando sto con te a mangiare o parliamo di tutto o ti vedo stare con gli amici più giovani o giocare nel cortile con un bambino…
O giovinezza, non ti ho perduta…!
Se qualcosa riaccade, oggi, se gli occhi che faticano a seguire le lettere, pure scorgono volti e gesti, se non è il ricordo a rendere amici, ma una cosa nuova e viva che sta accadendo ora, o giovinezza, non ti ho perduta…!

«Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2Cor 3, 5)

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