In libreria il volume di Onorati, DANTE E GLI OMOSESSUALI NELLA COMMEDIA, (tra Inferno e Paradiso), Società editrice Dante Alighieri

Dante e gli omosessuali. Intervista ad Aldo Onorati

Intervista ad Aldo Onorati

dante

 

E’ opinione canonica che Dante ponesse i “violenti contro natura” in Inferno, e conosciutissimo il canto XV, quello dell’incontro del Pellegrino col suo maestro Brunetto Latini, ma a sfalsare questa errata certezza c’è proprio il XXVI canto del Purgatorio, in cui appaiono sodomiti destinati al Paradiso. In occasione della pubblicazione, per i tipi della storica Società Editrice Dante Alighieri diretta da Mauro Spinelli, nella Collana Dantesca curata da Massimo Desideri (autore di studi “controcorrente” sulla Commedia) il volumetto di Aldo Onorati, Dante e gli omosessuali nella Commedia. Tra Inferno e Paradiso,  che tratta proprio della questione riguardante questa specie di misconosciuta sistemazione dei peccatori vicino al Cielo, rivolgiamo alcune domande a Onorati, che rinnova il successo di alcuni suoi studi, specie il recente “Canto per canto: manuale dantesco per tutti”, edito dalla Società Internazionale Dante Alighieri, che il prefatore Paolo Peluffo definisce “monumentale sinossi critica”.

 

D.- “Dante e gli omosessuali nella Commedia” aveva visto la luce dieci anni fa con una piccola editrice (Anemone Purpurea), ma mancava della cosiddetta “prova del nove”.

R.- Sì, in quel volumetto prendevo in considerazione soltanto i canti gemelli (XV e XVI) dell’Inferno, per sottolineare in quali modi molto differenti il Sommo Poeta tratta i sodomiti ivi incontrati. Per alcuni sente disprezzo, per altri riverenza. Come mai? Possibile che, nonostante appartengano tutti allo stesso girone, puniti a subire in eterno una pioggia di fuoco, Dante ammiri alcuni che si sono distinti in vita per il buon operare nella politica etc., e disprezzi altri che invece hanno sommato alla sodomia il ladrocinio, l’avarizia, la spudoratezza? Allora, pur rispettando i canoni della sistemazione dei peccati, è come se l’Alighieri desse minore importanza alla sodomia ed esaltasse i pregi umani e morali di quelli che Virgilio indica all’allievo, dicendo: “Se non ci fosse questa violenta grandine lavica, ti inviterei ardentemente a scendere fra loro per abbracciarli, perché hanno agito onestamente e con lungimiranza nel mondo”. Mi fermavo qui, ma poi ho scritto subito un’aggiunta, la “prova del nove”, che Dante non chiude il Paradiso ai gay, perché li troviamo fra i lussuriosi nel Purgatorio (insieme agli ermafroditi). La fortuna ha voluto che incontrassi un editore di grande prestigio, Mauro Spinelli, e un dantista di prim’ordine, Massimo desideri, ed eccoci alla pubblicazione ampliata con un’editrice che è essa stessa una garanzia assoluta.

 

D.- Il direttore della collana che ti ospitò con la Anemone Purpurea era il giornalista Daniele Priori, il quale scrisse una vasta prefazione ed ora un’introduzione di carattere socio-politico…

R.- Sì, Priori anzi mi spronò a pubblicare il libro, e lo ringrazio perché esso ha avuto riscontri notevoli. Qualcuno potrebbe obiettare che gli autori non hanno bisogno di incoraggiamento, anzi: di freno, perché oggi si stampano troppi libri mentre i lettori calano. Ma – nonostante io sembri un iperattivo – in verità ho mille dubbi sui miei scritti. Lo sa chi è il critico più severo delle mie cose? Mia moglie, e poi gli amici veri, quelli che non risparmiano le giuste osservazioni.

 

D.- Quando e come è nata la passione per Dante?

R.- Qui c’è da ridere: non certo a scuola, dove me lo hanno fatto odiare, perché se l’opera d’arte diviene strumento di punizione e di bocciatura, canone per imparare la grammatica e la sintassi (quando ogni poeta ha la sua regola che spesso è in contrasto con i trattati scientifico-linguistici), allora ha ragione Ezra Pound: essa perde tutto il suo fascino e il suo mistero.

Mio padre era viticultore e oste in proprio. Nella nostra bettola venivano molti analfabeti che, però, conoscevano diversi canti dell’Inferno, qualche ottava di Ariosto e Tasso, qua e là pure Leopardi. Un certo Bardà (cioè Oberdan), ogni qualvolta entrava nell’osteria, salutava col diciannovesimo canto, o col primo etc. Mio padre una sera disse: – Tu vai a scuola a scaldare i banchi -. Al mio perché, rispose: – Quelli che non sanno né leggere né scrivere hanno in mente Dante, e tu non sai manco chi è -. Preso in contropiede, frugai nella piccola biblioteca di casa (papà aveva frequentato le superiori dai preti), trovando un’edizione della Commedia commentata da Eugenio Camerini. Imparai qualche verso, senza capirci nulla, ma detti una lezione a Bardà e mi rivalutai agli occhi dell’esigentissimo genitore. Col tempo, quelle terzine mandate a memoria iniziai a capirle, a gustarle e a “farle mie”.

 

D.- Eppure so, in quanto l’ho letto da qualche parte, che all’università hai una sola bocciatura, in Italiano e in Dante.

 

R.- E’ vero. Forse non ci capimmo con l’assistente, una vecchietta burbera che mi consigliò di essere meno tracotante, più umile, più sistematicamente preparato. Chissà, forse aveva le sue sacrosante ragioni; fatto sta che dopo incontrai il grande filologo Giorgio Petrocchi e con lui mi laureai, ricominciando ad amare Dante che, per un momento, mi era divenuto antipatico. Sono cose della vita, che vuoi farci?

 

 

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