Dal bellissimo ultimo libro di Manica dedicato all’illustre scrittore-critico, un accenno a Giovanni Testori

Raffaele Manica,Praz (e Testori)

In Praz c’è anche “il fiato del narratore imitativo che dalla pittura viene preso al laccio”, scrive Enzo Siciliano, “Penso allo Zurbaràn che è impossibile non intravedere nell’aprirsi del capitolo intitolato Il Trionfo della morte (…)

Il passo (di Praz) è questo “Ampio, il viso di terracotta rovente, il naso come un corimbo di giacinto violetto, nei suoi paramenti purpurei siede l’arcivescovo nell’alto scanno scarlatto, incorniciato dalle volute barocche polpute come frutti tropicali”. Ci si può perdere a immaginare quanto un passo così abbia riecheggiato, in contrasto dilaniante, nella testa dell’autore dei Trionfi (dove c’è l’intermezzo  sull’ultima processione di San Carlo), in Giovanni Testori, scrivendo di Tanzio da Varallo: ” Il Vescovo, niente di più che una crisalide ravvolta nello splendore  delle porpore, lascia per l’ultima volta il Monte; traballando sui piedi che non han più forza, scende giù per l’erta; il suo viso, affilato, suda quasi fosse già chiuso in un’urna” e così via, come in Praz, ma passando dalla carne alla cenere.

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