un tempo lunghesso le strade. Sorrisi ci accoglievano

Avrà fatto per Milano più di tutti noi

“Si passava, un tempo lunghesso le strade. Sorrisi ci accoglievano. Una ferma, serena gentilezza era in ogni sguardo. Il cuore, appunto; e i calli sulle mani che lo tenevano. Ce lo mostravano, dopo aver sudato; e, tuttavia, con quale pudore! Ma ora? Ma adesso?”. Così continua Testori il brano su Milano dal “Corriere della sera” del 1982, segnalato nel post precedente per la sua estrema attualità non solo per la città lombarda.

“So. Sappiamo. L’immaginazione. Perché tacerlo?”, continua Testori, ricordando come si era più pronti ad accogliere immigrati e stranieri: “Chi ci ha insegnato che vale di più stare impastati, cieca massa benestante, davanti ai miti della tela o dentro le novissime, oceaniche sedute, che non aprir la propria porta, il proprio cuore, il proprio intelletto e la propria coscienza alla partecipazione degli altri?”

Ecco la conclusione dell’articolo, dove si ritorna a Gino Riboldi di In exitu, precedentemente contrapposto al dio di Roserio Dante Pessina, per il quale esisteva ancora una idea di agonismo, di gruppo, di socializzazione intorno al ciclismo:

Le ringhiere sono crollate giù, delle nostre case. Ma che mai le ha sostituite perché della solitudine di ognuno di noi si faccia qualcosa di meno tragico; qualcosa, ecco, che si possa ancor sopportare, non solo non facendo del male al prossimo nostro, ma facendosi reciprocamente del bene? Parole vecchie ed usate? Parole, anzi, abusate? Ma non invecchiano, e turpemente, assai prima l’altre, quelle con cui abbiamo stabilito, come nostra corona, non già la milanese passione, bensì la nuova, milanese indifferenza?

Scrittore, anzi “maestro a pensare” quando, essendo andato un po’ troppo in su con gli anni, avrai visto la tua costruzione ideologica sciogliersi ai lampi del vero, se vuoi trovare una qualunque “sociale” salvezza, metti in piedi una antologia e antologizzati da te solo, se altri a far questo non ci hanno ancora pensato. Il simile, fa anche tu, operatore economico; e anche tu, operatore partitico; e anche tu, operatore sindacale.

Intanto che, nella latrina della Centrale, Riboldi Gino rovescia le sue pupille nella tazza del water, implorando il nome di Dio e della madre. E, così facendo, avrà fatto per Milano più di tutti noi (Giovanni Testori, La mia Milano, “Corriere della sera” 9 marzo 1982).

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