In exitu Israel de Aegypto

Insorgere per risorgere. Lo scrivano di Taffon

“La parola letteraria sacrifica se stessa, le proprie canoniche e tradizionali forme” scrive Giorgio Taffon in Dedicato a Testori. Lo scrivano tra arte e vita (vedi anche il post precedente). Si tratta del bellissimo capitolo dedicato a In exitu: “solo andando al di là di se stessa può farsi parola autentica, dichiarare la brutale verità che, nel nostro tempo d’ angoscia e di incapacità ad insorgere e risorgere, Cristo può apparire ormai solo in quelle sembianze che noi, ‘anime belle’, crediamo prive di ogni diritto ad esistere nel consorzio che abbiamo creato”. Scrive ancora Taffon:

L’autore esige anche che si esca da una concezione della letteratura come atto compensatorio o compensatorio di quei vuoti, di quegli smarrimenti che la realtà del vivere ci impone; egli stesso in prima persona, come scrittore, vuol farsi fino in fondo testimone del dolore abissale esemplificato nella figura del tossico, interpretando quella figura, vale a dire trasferendosi in essa toto corde attraverso una parola che è atto di carità…

Gino, poco a poco, è una voce postuma a se stessa, che si può reincarnare nello spazio del teatro, nel tempo della recita: un rito che si svolge, l’unico ormai possibile, poichè tutti gli altri riti di una società che ha perduto ogni senso sacrale, sono banalizzati…

Il rito tramite cui la parola di un emarginato, deietto, espulso, maledetto, prende corpo per stagliarsi contro il potere, in una insurrezione che è la sola resurrezione (Giorgio Taffon, Dedicato a Testori, Bulzoni, 2011)

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