una faccia illuminata come chi ha vissuto intensamente d’una vita interiore

Sul San Valentin di Michelstaedter

 “Oltre ai ruderi medievali sulla cima [del San Valentin], lungo la mulattiera che sale da Gorizia, per Piuma-San Mauro, si incontrava un masso a due cuspidi, testa da cavallo e cavaliera, che veniva chiamata la dona a caval e che contribuì a ispirare a Carlo la “leggenda” del monte. Poco lontano era una “casa” con “cucina”, ossia un anfratto di Roccia, dove la comitiva faceva sosta. La sorella Paula, in occasione di un compleanno del fratello, che si trovava a Firenze, gli spedì il dono di un sasso del monte amato, senza imballaggio, con una semplice fascetta. Su una parte levigata, di un rosso cupo, Carlo vi incise le prime note, in un’edizione per pianoforte, di una sinfonia di Beethoven”. 

Ho un appuntantamento su quei monti goriziani con Carlo Michelstaedter. Morto suicida a Gorizia, dove era nato, a soli 23 anni, nell’ottobre del 1910, la sua tesi di laurea, La persuasione e la rettorica, edita da Adelphi dopo la sua morte, è diventata un classico del pensiero del Novecento. Ha lasciato anche uno splendido epistolario, saggi vari, alcune belle poesie, tutte rintracciabili nella edizione di Sergio Campailla sempre per Adelphi. Racconta la sorella di Carlo, Paula:

Non fece alpinismo, ma conosceva bene i nostri monti attorno a Gorizia, e non ci andava per sport, in compagnia, ma per bisogno di movimento, per amore alla natura, per ricerca della solitudine. In una delle ultime vacanze d’estate, passò alcuni giorni sulle Alpi Giulie, ci andò da solo, senza meta prefissa, senza carte, senza sacco di provviste, senza saper nemmeno quando sarebbe tornato. E si fermò alcuni giorni camminando molto, passò tutto un giorno nella nebbia fitta, nutrendosi soltanto di latte che trovava nelle malghe dei pastori. E ritornò più dimagrito, ma con una faccia illuminata come chi ha vissuto intensamente d’una vita interiore.

 

 Durante le cosiddette seconda e terza battaglia dell’Isonzo nel luglio fino al novembre del 1915, il San Valentin, poi ribattezzato Monte Sabotino, fu il teatro dell’attacco italiano alle roccaforti austriache lì insediate, proseguito in direzione di un altro luogo di villeggiatura ben conosciuto da Carlo: Tolmino. Il monte Sabotino fu conquistato il 6 di agosto 1916. Facile intuire cosa sarebbe rimasto dopo la cruenta battaglia corpo a corpo, di trincee nemiche ravvicinate, dei luoghi così cari a Carlo. Lo racconta, tra gli altri Lucio Fabi, nella sua ricostruzione delle vicende della Grande Guerra sui colli di Gorizia:

 Assieme agli uomini, muore la natura. Con il susseguirsi delle operazioni, le granate incendiarie ed i proiettili dei grossi calibri cancellano il verde dei prati, dei frutteti, delle vigne, dei boschi. Le quote più battute sono gialle: il giallo dello zolfo, della polvere da sparo, della pietra inerte e sbriciolata.

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