I sentimenti come grano nei campi

Fra il ’70 e l’80 del Quattrocento, un pittore di nome Bergognone, con i «volti di angioletti gonfi di lacrime vere», dolci e quotidiani, della sua insuperabile Pietà Cagnola, anche detta Cristo deposto e angeli, aveva diminuito l’aura di devozione in una pietistica religiosità di paese. Il suo amore, delicatamente impudente, per i sentimenti, aveva espresso la volontà di rendere minore, eppure palpitante di verità redentiva e pace, la grandezza delle vicende estetiche. Con l’insuperabile capolavoro di una critica responsabile, Testori scriveva la propria religiosa affezione per la «poesia del sempre», quella che si annida nella vita di tutti i giorni e nei sentimenti più segreti.

Dolce, fraterna, indimenticabile presenza, quella del Bergognone! Egli sembra mettersi, subito, a lato della storia imperiosa e imperante; lì sembra, subito, sostare e, poi, restar come un contadino se ne sta ai bordi dei propri campi. Ma, se fa questo, è per rammentare a quella medesima storia le sue radici e la sua determinazione anche al non-fasto; infine, e in una sola parola, per ricordarle che, accanto agli eventi grandi, esistono gli eventi feriali e minori e che irrinunciabile è la forza dei sentimenti segreti. Ora son proprio loro, quei sentimenti, che, nella dimissione d’ogni forma «alta», trovano, nel Bergognone, il luogo dove spuntare, erba nei prati, grano nei campi; il luogo del loro essere arra pel futuro, tanto dell’uomo, quanto delle vicende della sua espressività.


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