il luogo di un insediamento autenticamente “umano”,

La natura-creatura di Zanzotto

Ho creduto che la cultura nascesse e si sviluppasse come manifestazione spontanea di un dialogo in atto tra l’uomo e la natura, quasi di un rapporto di mutua e amorosa comprensione tra una madre e il proprio feto, mai destinato, proprio per questo, a un irresistibile distacco dall’alveo naturalistico di provenienza.

Voglio anch’io ricordare Andrea Zanzotto morto ieri, con le sue parole consegnate al settimanale Vita, nel numero 40. Si festeggiavano pubblicando il bellissimo inedito, i novant’anni compiuti il 10 ottobre. Se il poeta dichiara di “essermi parzialmente illuso” rispetto a quel rapporto, chiude il suo scritto in questo modo:

Si è verificata una damnatio di questa memoria territoriale millenaria, o, meglio, una banalizzazione della storia in toto, che ha comportato un violento rovesciamento dei rapporti temporali; e l’antichissima realtà naturale, da sempre fondante la stessa idea di “essere umano”, si dà oggi come miraggio ecologico, proiettato verso un futuro estremamente avanzato: non verso “ciò che sarà”, ma verso “ciò che sarà stato”. Gli stessi sfondi paesaggistici dei nostri Giorgione e Tiziano, non trovando più una corrispondenza nella realtà geografica che siamo costretti ad abitare, hanno assunto un’evidenza fantascientifica.

Anche la poesia partecipa di questo proliferare di contraddizioni cui si è ridotta la nostra più vera realtà, e di cui si è cercato di rendere conto nel quadro appena delineato. L’ubi consistam della poesia si è ridotto alla verifica della propria futilità, oggi che lo stesso nome di “natura” è divenuto un relitto fonico privo di senso, avendo perduto la possibilità storica di riferirsi a una realtà pur minimamente adeguata alla nobilitas del suo significato – cui, del resto, si ostina caparbiamente ad alludere. Ma, nel medesimo tempo, la poesia si trova ad essere investita di un ruolo paradossalmente fondamentale: quello di instaurare, magari ricreandole ex novo, le pur esilissime connessioni vitali tra un “passato remotissimo” e l’odierno “futuro anteriore” di un rimorso che, pur percependosi come tale, non è oggi nemmeno in grado di spiegarsene la ragione.

Resta ferma, insomma, la convinzione che la poesia debba ostinarsi a costituire il luogo di un insediamento autenticamente “umano”, mantenendo vivo il ricordo di un “tempo” proiettato verso il “futuro semplice” – banale forse, ma necessario – della speranza.

(Andrea Zanzotto  sul settimanale  Vita magazione n. 40.)

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