per coglierli in un momento sempre speciale

Pasolini maestro

«Ricordo le prime ore di scuola, così soffuse di un acre e quasi languido senso di verginità, in cui io già incominciavo a manovrare con astuzia il mio candido entusiasmo, facendo dell’emozione qualcosa come una figura retorica di nuova specie, con cui mimare il mio discorso di pause, di riverenze, di esclamativi e segreti. Ne lievitava un pacato tono di scandalo, di rivelazione, che determinava in tutto il ragazzo uno stato di curiosità per tutto quello che dicevo. La mia emozione si comunicava agli scolari, che sentirono allora, per la prima volta l’ambiguo sapore dell’ironia e insieme l’attendibilità dei fatti e delle deduzioni stringenti».

  Il poeta giovanissimo maestro durante la guerra, nel 1943 e poi, subito dopo, professore alle media di Valvasone, fino alla partenza dal Friuli per lo scandalo di Ramuscello, applicava la sua idea di educazione tra favola e gioco, attraverso piccole performance, per accostare gli allievi alla letteratura e perfino alla grammatica, con esiti straordinari. Si legga in proposito il racconto di Nico Naldini, nella lunga e appassionata introduzione al Paese di temporali e primule della nascita della Favola degli Orchi e degli Elfi.

Racconta di aver cominciato dalla preistoria: «io pensavo al bestione di Vico, essi a una specie più fantasiosa di Tarzan, ma la base emotiva, mitica, era la stessa in ambedue, e così ci trovavamo d’accordo». Con arguzia, ma tutt’altro che fredda, dava risalto a particolari irrilevanti, lasciando cadere nel vuoto i dati essenziali, giocando con la loro capacità deduttiva, di attenzione, li deludeva e scoraggiava ma «per coglierli in un momento sempre speciale, risentito, del loro interesse. Insomma davo alle mie lezioni una specie di drammaticità, fingendo talvolta addirittura degli ingiusti cattivi umori, sotto cui lasciavo però ribollire intatta l’allegria con cui mi mettevo in contatto con essi. Perfino le aride lezioni di grammatica erano divenute un gioco denso di quei contrasti (il buono, il cattivo, il vincitore e il vinto), che i fanciulli non dimenticano mai, nemmeno quando mangiano o vanno a letto». Strepitosa, poco dopo, alle prese con le declinazioni, la narrazione della favola degli Userum, con tanto di mostro e spiegazione finale: «che l’intero mostro era dunque la seconda declinazione, che io ero il giovane che venivo a salvare essi, i fanciulli, dal sacrificio».  

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