McCurry e Weston

Posa VS momenti di realtà

Mostra di McCurry al MACRO. Gli occhi si riempiono di foto meravigliose, che persistono, affollate, sulla retina. La mostra è divisa in sezioni: i ritratti, tra cui la celebre afgana dagli occhi verdi; la religione; la guerra; i disastri naturali; i paesaggi. Davanti ad alcune immagini si resta pietrificati per la bellezza sprigionata. Eppure c’è qualcosa di strano, che non torna. Sembra tutto uguale: i volti intensi, i bambini che giocano, i moribondi, le malattie più orribili. Tutto sullo stesso piano. Come quando in tv si assiste a una grande tragedia e si viene bruscamente interrotti dalla pubblicità della Mulino Bianco. Con cordiale indifferenza si passa dall’uno all’altro. Così. Velocemente. Ma non si tratta solo della struttura della mostra. Si tratta di luce.  Le foto hanno tutte la stessa luce: che sia una tragedia o una gioia, stessa luce. La luce della perfezione. E la perfezione non è la realtà. La perfezione colpisce, stupisce, desta ammirazione, ma non commuove. Non arriva a quel fondo ultimo, a quella nascosta intimità che può aprire – anche dolorosamente – abissi prima inesplorati. La perfezione ti allontana l’oggetto, te lo fa ammirare. Non te lo fa amare. E ti chiedi se McCurry ami di più la foto o quel che fotografa. E poi esci e tra  libri e  gadget ti mostrano un catalogo di un altro grande, Weston. La foto di due amanti. Ma no, non sono amanti. È un peperone. Un banale peperone. La realtà banale, quotidiana, umile che ha svelato segreti inaspettati. E se McCurry ha viaggiato in orizzontale, qui si viaggia in verticale: dentro, dentro, dentro, fino a quando un pezzo di realtà – qualsiasi – alza il suo velo.

Basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi, anche nel modo precipitoso e approssimativo che è stato il mio. Ma amarla. Per il resto, non ci sono precetti.

(G. TESTORI)

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