Il mondo nel pallone? L’amico Alessandro (sta per rientrare definitivamente in Italia) docenti di Lingua Italiana a Santa Caterina (Florianopolis) racconta qualche Unghia del gigante (così titola il suo bel libro sul Brasile, edito da Universitalia.

Não vai ter Copa? Alessandro Mantovani dal Brasile

Nell’imminenza dei mondiali, il Brasile è un pullulare di movimenti sociali variegati e – ovvio – complessi. Logico quindi che, coi riflettori di tutto il mondo puntati sugli stadi, anche i movimenti sociali intendano cavalcare – in senso opposto, chiaro – l’onda, trovando un collante nella contestazione al grande evento sportivo. Di qui il movimento Não vai ter Copa!

Dopo la grande esplosione del giugno dell’anno scorso i media mainstream di tutto il mondo avevano messo la sordina su quanto stava accadendo da queste parti, ma adesso, a pochissimi giorni dalla “Copa”, non potendo più tacere, lo affrontano in modo riduttivo, per occultarne il carattere. Che non è solo di contestazione di ciò che del peggiore passato resiste nel Brasile di oggi, bensì anche delle nuove contraddizioni che la stessa modernizzazione sta ponendo all’ordine del giorno (non ultima fra esse il fiato corto di una “democrazia” che, dopo lo slancio della lotta contro la dittatura, sta rivelando la sua reale natura).

Então, vai ter Copa? Di certo non sarà la festa interclassista che qualcuno si augurava. La polarizzazione è in corso, e lo Stato si prepara ad usare il pugno di ferro.

Ed ecco apparire, sulla stampa occidentale, servizi che ci presentano un Brasile truculento, con le favelas teatro di espulsioni e esecuzioni di semplici moradores (residenti) da parte di forze dell’ordine brutali e corrotte, che contendono alle organizzazioni criminali il controllo dei traffici illegali, e così via.

Sia pur, talvolta (non sempre) animate da buone intenzioni, specie quando vengono da sinistra, queste “denunce” scadono purtroppo nel cliché, per non dire nel pregiudizio, che sempre si afferma laddove in realtà v’è carenza di analisi, e finiscono per dare l’immagine distorta di un Brasile sempre uguale a se stesso.

Sia chiaro, i fatti denunciati sono purtroppo una triste realtà che non è possibile ignorare, ma, prima di tutto, il Brasile, e i suoi movimenti sociali, non possono essere visti solo attraverso il prisma riduttivo delle favelas: oltre alle associazioni di moradores che rivendicano servizi sociali e la fine della brutalità poliziesca, vi sono gli studenti che chiedono il Passe Livre (cioè il trasporto gratuito), indios che difendono le loro terre e la loro cultura e si spingono fino a Brasilia per sostenere i propri diritti, i Sem Terra che a loro volta le terre le occupano, senza-casa che occupano aree abitative, movimenti di difesa del territorio e dell’ambiente, e, infine, scioperi, scioperi che investono i trasporti, i dipendenti pubblici, gli insegnanti, perfino (per dire quanto profondo sia il malessere) i corpi di polizia.

E allora è necessario precisare che dopo aver riempito le piazze con milioni di persone, il movimento (o meglio i movimenti) stanno attraversando una fase che non è di mero riflusso, ma anche, sia pure attraverso la disseminazione nel territorio, di ripensamento, d’innesto di nuovi dinamismi.

Abbiamo analizzato altrove le ragioni e il segno di questi movimenti. Quello che preme qui sottolineare ancora una volta è che le stesse favelas poco corrispondono agli stereotipi su di esse imperanti. Esse non sono più (non sono più solo) l’orizzonte dell’emarginazione: il 65% dei suoi abitanti appartiene oggi infatti allo strato inferiore di quella che la statistica brasiliana chiama “classe media”: sono cioè lavoratori, studenti, proletari.
(http://economia.uol.com.br/noticias/redacao/2013/02/20/65-dos-que-moram-em-favelas-ja-estao-na-classe-media.htm).

Ed è per questo che proprio nelle favelas i movimenti sopra descritti si incrociano e intersecano, e che le favelas non sono tanto “pericolose” in quanto paradisi della criminalità e dello spaccio, ma piuttosto in quanto teatro oggi di forme inedite di solidarietà, di associazioni di quartiere, di iniziative culturali, e soprattutto di iniziative di mobilitazione. E di interessantissime forme di auto-organizzazione e mobilitazione urbana.

Ecco allora qui di seguito il link di un articolo che – con tutti i suoi limiti – contribuisce a collocare le cose al loro posto.

Il Mondiale non si farà

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