Affascinanti lumi di poesia a teatro nello spettacolo Didone di Fabrizio Pucci, con lo stesso Pucci e Marina Guadagno, sullo splendido testo di Giuseppe Manfridi (si veda l’edizione pubblicata dalla Mongolfiera, insieme a Arsa)

Ovidio e Didone sulla soglia

Dove sono Ovidio e Didone. Quale onda di passione, opposta, li avvicina e li distoglie? Su quale soglia?

Quando è autentico il teatro compie la sua precipua magia: in un tempo e in uno spazio fisico ristretto (qui la casa degli specchi nell’ineffabile Stanze segrete, nel cuore di Trastevere a Roma, una specie di sgabuzzino di quelli della villa degli Scalognati di pirandelliana memoria) la parola scaraventa dentro orizzonti infiniti, regala poesia e meditazione. Abbandono, vecchiaia, passione ne sono gli argomenti, filtrati in una eleganza e in una accuratezza di panni, di oggetti, di gesti che costituisco quel piccolo spazio attraversato dalla urgenza metafisica della poesia di condurre oltre il limite, portando non solo l’anima, ma il corpo.
Ovidio, in vecchiaia, evoca Didone, poeticamente, e la donna gli risponde come fosse in carne ed ossa, dagli Elisi oppure dalla catapecchia del pensiero, dalla stalla degli umori sensuali abbandonati dal traditore Enea. Da quale sospensione vive o muore non lo sappiamo, non lo sapremo: dobbiamo solo ascoltare la donna che fieramente dice di non essere stata evocata dalla poesia, ma di esserci… Attraverso la ripetizione dei gesti “casalinghi” di abluzione e vestizione, dove vibrava la potenza dell’erotismo riservato al suo uomo, riapre platelamente la sua ferita, in un bagno di lacerazione, di orgoglio, di supremazia, rispetto all’ingenuo vecchio poeta che pensava di trovarsi davanti un relitto di memoria, ossa ridotte a pura parola, inoffensive.
Bravissimi gli attori, Ovidio Fabrizio Pucci, anche regista e Marina Guadagno una sensuale Didone che sfugge al tentativo del vecchio poeta di produrla: è lei a voler essere, a raccontare, a sfidare.
Pubblico entusiasta, si specchia, negli specchi di Stanze segrete, con i gesti eleganti dei due attori, pasteggia con le celebri canzonette di fine ventennio, nella scelta del regista di ambientare il testo (che non ha alcuna didascalia) in un preciso momento storico, senza allentare le suggestioni atemporali dei due personaggi del mito e della poesia.

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